Nell’incontro con l’altro siamo quotidianamente di fronte a tre impulsi: andare verso, andare lontano da e andare contro l’altro. Il terzo, se continuo, può portare ad aggressività
“Penso che la mancanza di connessione con la profondità della vita è associata alla distruttività, e penso soprattutto al fascismo, che sta tornando, ancora una volta, ad essere presente nel mondo” Claudio Naranjo

L’aggressività come reazione ad un mancato accudimento
Il soggetto, là dove non viene sufficientemente accudito, sostenuto e rassicurato, si vede costretto a trovare autonomamente una “soluzione”. Per soluzione s’intende una modalità di stare nel mondo per superare le debolezze “strutturali” e crearsi un’identità unitaria che gli permetta di incontrare l’altro.
Proprio l’incontro con l’altro ci porta quotidianamente a considerare tre differenti “impulsi”:
- andare verso;
- andare lontano da;
- e andare contro l’altro.
Là dove per differenti motivazioni il terzo e ultimo impulso diventa predominante, quello che emerge è un atteggiamento aggressivo.
Per alcuni individui l’aggressività diventa la personale “soluzione” perché viene percepita come forza, capacità di controllo e di comando. Diventa sempre più difficile, col passare del tempo, distinguere ciò che è reale forza da un’egocentrica brutalità.
Una moltitudine di psicologi ha formulato teorie sull’aggressività sottolineando il peso che il ruolo sociale e i fattori situazionali hanno sull’individuo.

L’Effetto Lucifero e l’aggressività
Uno tra questi fu P. Zimbardo con il suo famigerato esperimento di Stanford dove venivano simulate le condizioni di un carcere.
L’iniziale condizione sperimentale di “simulazione” portò il gruppo di studenti a identificarsi con il ruolo di guardie o di prigionieri. I partecipanti si sono immedesimati a tal punto da dover interrompere l’esperimento a causa del livello di aggressività raggiunta.
Successivamente definì l’Effetto Lucifero come l’insieme di circostanze capaci di scatenare aggressività e odio in individui “normali”.
È così facile quindi identificarci nel ruolo di aggressore? Durante questo esperimento i partecipanti sapevano di essere “nelle mani” dello sperimentatore, quindi sotto la sua responsabilità.

Quanto è importante quindi il ruolo dell’autorità?
Non credo vi sia una naturale tendenza umana a conformarsi a ruoli e richieste dell’autorità quanto piuttosto la presenza di individui “strutturalmente deboli”. Questi sentono la necessità di identificarsi con un’autorità, un potere che riesce a spacciare azioni crudeli per gesti virtuosi.
Quello dell’aggressività è un tema estremamente complesso che ci tocca particolarmente in queste ultime settimane.
Questo articolo vuole semplicemente essere uno spunto di riflessione per tutti noi rispetto alla responsabilità che abbiamo. Una responsabilità come singoli individui con una storia ma anche come cittadini del mondo.
Dottoressa Psicologa Martina Di Dio
Suggerimenti di lettura in merito all’articolo sull’aggressività
Se ti incuriosiscono questi articoli sui concetti psicologici ti consiglio di leggere l’articolo della dott.ssa psicologa Martina Bacciotti sull’espressione della rabbia oppure l’articolo del dott. Niccolò Di Paolo sui tre livelli di violenza verbale attraverso il cinema