Nel 1871 Tylor, antropologo britannico, definiva la cultura “come un complesso di elementi che comprende le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, le leggi, usi e ogni altra capacità e usanza acquisite dall’uomo in quanto membro di una società”.

Questo è uno dei primi tentativi di definizione scientifica di cultura e si riferisce a due dimensioni: l’individuo e la società. La dimensione individuale è rappresentata dalle conoscenze, la dimensione sociale dal fatto che queste vengono interiorizzate all’interno della cultura di appartenenza.
Cos’è la cultura? Le 11 definizioni di Kluckhohn (1952)
Nel 1952 Kluckhohn ha tentato di sintetizzare in un elenco i diversi tipi di definizione della cultura, trovandone 11.
La prima vede la cultura come un complesso di vari elementi. La seconda come un’eredità sociale che traccia una linea del nostro comportamento. La terza definisce la cultura come composta dal “pensare, sentire e credere” provenienti da dimensione cognitiva e dimensione religiosa. La quarta la vede come un’astrazione che deriva dal comportamento delle persone.
La quinta si concentra sui modi di comportarsi di un gruppo che condivide valori; questi valori vengono però analizzati dagli stessi individui dentro di sè. La sesta la definisce il “deposito di un sapere che un individuo eredita dal passato” nonostante sia allo stesso tempo dinamica e varia. La settima la definisce “un orientamento di risposta ai problemi” (ed è per questo che nasce).
L’ottava la definisce semplicemente come “un insieme di comportamenti appresi“. La nona pone l’accento sulle norme definendola “regolazione normativa“. La decima come normale tenica di adattamento (e quindi nasce come risposta all’ambiente). L’ultima sostiene che attraverso la cultura si crea l’ambiente sociale.
Di conseguenza potremmo dire che in sociologia i comportamenti, per quanto possano sembrare individuali e istintuali, sono in realtà sono il prodotto culturale della società umana.

Gli universi culturali e le dimensioni della cultura
Esistono vari universi culturali che sono condivisi da varie società come la famiglia, gli sport, il folklore e la danza.
Il concetto di cultura riguarda un ambito a più dimensioni e con diverse interpretazioni. Queste possono aiutare a collocare il concetto nella più ampia dimensione che è la vita dell’uomo, considerato come attore sociale e come tale membro di un gruppo sociale.
Le dimensioni che sottendono la vita dell’uomo sono
La Dimensione soggettiva
Ovvero presenza dell’animo umano di valori, modelli di comportamento ecc.
La Dimensione oggettiva
Ovvero quella dimensione che vede la cultura come “memoria collettiva o tradizione codificata e accumulata nel tempo”.
La Dimensione descrittiva e cognitiva
Ovvero l’insieme di credenze, di rappresentazioni sociali della realtà naturale e sociale e di immagini del mondo e della vita che serve a spiegare e definire le identità individuali, le unità sociali e i fenomeni naturali.
La Dimensione prescrittiva
Ovvero l’insieme di valori che indicano le mete ideali da perseguire, di norme che indicano il modo in cui gli individui e le collettività devono comportarsi.
Le varie dimensioni sono tra loro legate, soprattutto la dimensione descrittiva e cognitiva con quella prescrittiva, poichè la dimensione cognitiva viene costruita a partire da norme e valori, ma anche le norme orientano la dimensione cognitiva. La cultura, inoltre, si presenta come “tradizione”, ovvero come possibilità di accumulare le esperienze in quanto deposito della memoria collettiva.

Il concetto di cultura nell’antica grecia e nell’antica roma
In origine il termine “cultura” veniva usato per indicare il processo di formazione della personalità umana tramite l’apprendimento. Gli antichi greci definivano questo provesso con il concetto di “paideia”. In tale contesto viene definito colto colui che è riuscito assimilando le conoscenze e i valori socialmente trasmessi a tradurli in qualità personali.
A Roma la parola cultura deriva dal latino “colere”, che inizialmente indicava l’azione di coltivare della terra e di allevamento di bestiame, estesa successivamente in senso metaforico anche alla coltivazione dello spirito, delle facoltà spirituali, della lingua, dell’arte, delle lettere e scienze.
I greci e i romani intendevano la cultura come un insieme di conoscenze e valori socialmente trasmessi.

Lo sviluppo del concetto di cultura nel mondo occidentale
Con l’Illuminismo (seconda metà del 1700) il termine cultura subisce una ulteriore allargamento di significato, comprendendo il patrimonio universale di conoscenze e di valori formatosi nel corso della storia dell’umanità. Diventa il deposito della memoria collettiva e fonte di arricchimento dell’esperienza.
Si afferma il concetto di civiltà o civilizzazione riferito all’affinamento culturale dei costumi in contrapposizione ai popoli non civilizzati. Il termine francese “civilisation” (pronunciato si·vi·li·za·syon) sta ad indicare lo sviluppo delle forme di cortesia e socializzazione, l’affinamento degli atteggiamenti, il controllo degli istinti, delle passioni e dalla violenza.

La cultura come baluardo della colonizzazione
Si inizia anche ad affermarsi la missione dei paesi civilizzati nei confronti dei popoli ritenuti selvaggi. Il processo di civilizzazione è un lungo processo di trasformazione delle strutture sociali, psichiche e culturali, contemporaneo alla formazione dello Stato moderno.
Dalla Francia il termine civilizzazione si estende rapidamente in Inghilterra (civilization), mentre in Germania è il termine Kultur ad assumere un significato analogo a quello del francese “civilisation”.

XVIII sECOLO: La trasformazione deli significato di cultura
Il concetto di cultura passa da formazione dello spirito della persona a insieme oggettivo di rappresentazioni, modelli di comportamento, regole, valori in quanto patrimonio comune realizzato attraverso l’evoluzione storica
Viene a determinarsi una nuova consapevolezza del carattere storico della cultur in relazione alle diverse configurazioni culturali, alle diverse società e alle diverse epoche. Nel 1700-1800 l’individuo pensa a sé stesso come ad cittadino del mondo ed è in quest’epoca che viene coniato il neologismo cosmopolita.
Si afferma, di fatto, il relativismo culturale, ovvero il riconoscimento della validità e della coerenza di ogni cultura.

Ciascuna cultura può essere giudicata a partire dai criteri prevalenti in quella che più ci è familiare.
È in questo periodo storico che viene denunciato per la prima volta l’etnocentrismo, ovvero l’atteggiamento di chi tende a giudicare le culture di altre epoche o di altri popoli a partire dai valori presenti nella propria cultura di appartenenza.
Nel 1800 e 1900 infatti emerge un rapporto negativo tra cultura e civilizzazione, in quanto per molti intellettuali il concetto di civilizzazione era sinonimo di industrializzazione, di fabbriche inquinanti e di abitazioni sporche.
La cultura, invece, rimandava alle espressioni di bellezza e creatività umana.

Il punto di vista di alcuni filosofi (tedeschi) sulla cultura
Hegel
Hegel interpreta le diverse epoche della vita dell’umanità come tappe successive di un processo di maturazione dello spirito, sottolineando le diverse forme culturali che ne sono state espressione.
Dilthey
Dilthey ritiene che ogni evento e ogni epoca storica abbia una sua individualità particolare e una sua coerenza interna di significato che deve essere interpretata nel suo senso proprio e irripetibile e non va ricondotta a principi generali astratti proponendo una distinzione tra le scienze della natura e scienze dello spirito (o scienze storico-sociali). Quest’ultime, per Dilthey, fanno attenzione ai significativi vissuti nell’esperienza storica e alle forme culturali che li esprimono.
Tönnies
Tönnies contraddistingue la “comunità” come forma propria delle società preindustriali fondata sulla volontà organica, ovvero sul predominio dei vincoli naturali connessi alla vita biologica, all’istinto, al piacere e all’inconscio del sentimento e della memoria. Questi vede come base della comunità la famiglia unità costituita sulla comprensione reciproca, sulla solidarietà e su una comunità domestica stabile.
Alla comunità Tonnies contrapponeva la “società” fondata sulla volontà convenzionale, ovvero su relazioni di tipo artificiale basate sul contratto e sul diritto, sulla razionalità strumentale e sul principio della concorrenza. Nella società prevalgono il calcolo utilitaristico, la speculazione, l’individualismo, i gruppi di interesse economico e la coppia coniugale instabile.
La kultur diviene espressione vitale dei valori sostanziali che caratterizzano la comunità, mentre la zivilization diviene il nuovo regime che è proprio della società. La cultura viene a trasformarsi in civilizzazione, la quale segna il tramonto della cultura.

La cultura come sostitutivo del determinismo istintuale
L’azione umana diventa per noi un fatto tangibile solo se posta in relazione ad un significato collegato ad un’intenzione o alle motivazioni soggettive dell’attore sociale. In alternativa questa azione può essere in relazione a modelli o regole culturali proprie del contesto in cui si manifesta l’agire.
Nel caso dell’agire umano non si può procedere a eccessive generalizzazioni (l’esperienza umanavaria in base al tempo, spazio e storia biografica), cosa invece fattibile per gli esseri animali, per i quali si fa riferimento ad istinti (sopravvivenza, difesa, riproduzione, ecc) e a strutture del codice genetico. L’esperienza animale è condizionata dall’automatismo di tipo genetico-istintuale. Nell’essere umano l’automatismo istintuale è quasi completamente sostituito dai modelli e orientamenti culturali che incidono sulla psiche degli individui.

Le funzioni della cultura
L’individuo è l’essere che ha consapevolezza di essere al mondo, oltre gli istinti, possiede una coscienza. Senza il supporto di modelli culturali appresi sin dalla nascita l’uomo non saprebbe come comportarsi.
Secondo Gehlen l’uomo è un animale indebolito nel 1940 perché per orientarsi ha bisogno rappresentazioni e modelli culturali, dove tali modelli alleggeriscono il problema di come comportarsi. Di conseguenza la cultura diviene in questo contesto un sostitutivo sociale del determinismo istintuale, e non può riprodurre automatismi poiché gli individui possiedono una coscienza.
Potremmo dire che la cultura è un sostituto del determinismo istintuale e assolve a funzioni di orientamento dell’individuo, mentre la Mediazione simbolica media i rapporti tra individui e individui, tra individuo e ambiente, tra individuo e società.
Per Simmel gli individui sono dotati di autocoscienza ma sono vittime della società.

L’appoggiarsi alla cultura come istinto volto alla Riduzione della Complessità e come strumento di previdibilità
La cultura, di fatto, seleziona alcuni modelli di comportamento specifici anche se questi variano nel tempo e nello spazio.
Tra le molteplici scelte che un individuo può compiere, la cultura ne seleziona alcune come uniche, preferibili e/o ottimali. Essa costituisce un deposito di esperienze ed ogni qualvolta mutano le condizioni storico-ambientali o nascono nuove esigenze individuali/collettive la cultura deve adattare le proprie interpretazioni e riformulare le proprie risposte, fornendo nuovi significati più adeguati alle esigenze del momento.
Ad esempio, il linguaggio riduce la complessità ma soprattutto la fotografa.
Anche la prevedibilità è un requisito essenziale perché possa instaurarsi un ordine sociale. La società si basa su una serie di regole condivise e la presenza di queste regole se da un lato vincolano il nostro comportamento dall’altro facilitano le nostre interrelazioni. Difatti, l’orientamento dell’agire è influenzato dalla reciprocità delle aspettative.
Attraverso la determinazione culturale tentiamo di ridurre la complessità che è fondata sulla indeterminatezza cioè non si sa cosa possa accadere. Inoltre, nella costruzione dei processi simbolici e nella costruzione dei processi cognitivi e comportamentali ci identifichiamo in alcuni contributi e neghiamo altri.

Azione e mediazione simbolica, senso e significato
L’individuo nasce all’interno di un contesto sociale già formato e di una cultura specifica che gli viene trasmessa dagli adulti attraverso il linguaggio. Solo dopo essere socializzato e avendo la capacità di negazione l’individuo cosciente può trasformate i significati fino a produrne di nuovi.
Secondo questo quadro il significato precede l’azione.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che l’azione precede il significato perché il significato non può avere altra origine che dall’agire stesso. Nella tradizione filosofiche dell’occidente tale contraddizione era stata risolta attribuendo alla coscienza una funzione fondante. La coscienza stessa era un’unità vivente che produce significati.
Tutto ciò viene messo in discussione nell’età moderna, nella quale il rapporto dell’individuo cosciente con sè stesso viene considerato mediato dalle forme cultural. Inoltre, l’identità della coscienza, quale prodotto del linguaggio e dei significati, contribuisce a definire la soggettività stessa.
Di consequenza la coscienza soggettiva consiste nella capacità di elaborazione dei significati e di identificazione con le determinazioni costituite, ma anche come capacità di presa di distanza o di negazione.

L’ambivalente rapporto tra coscienza e cultura
L’azione precede il significato
Questo rapporto ambivalente che la coscienza stabilisce con la cultura è definito da Simmel come tragico. Per Simmel la cultura fonda la memoria individuale e collettiva mentre la coscienza non appare come la fonte prima del senso.
Questa sarebbe solo un principio attivo capace di selezionare ed elaborare significati dati in precedenza, e poiché l’individuo può rivalutare ciò a cui è stato socializzato, la coscienza trova le radici nell’esistenza e, di conseguenza, l’azione precede il significato.
L’agire quindi emerge prima di ogni attività riflessiva e tale agire appare come la prima fonte della produzione riflessiva dei significati.
Il significato precede l’azione
In questo caso facciamo riferimento alla situazione storico-sociale concreta caratterizzata dalla memoria culturale nella quale vengono a trovarsi gli attori sociali sin dal momento della loro nascita.
La cultura quindi funge da mediazione simbolica tra il significato e l’azione
Come si può evincere l’azione è influenzata dalla cultura e allo stesso tempo l’azione influenza la cultura.
Gli individui sono al tempo stesso prodotto culturale e anche fonte attiva di produzione di sempre nuove forme culturali. La cultura intesa come insieme delle forme di mediazione simbolica è al tempo stesso garanzia di continuità con il passato, patrimonio della memoria storica e realtà espressiva in costante mutamento.
Il senso comune è l’insieme di significati generalmente condivisi e accettati come ovvi da tutti, che costituiscono il substrato culturale della nostra esistenza sociale. Esso indica uno dei prodotti del sistema dei significati.

La pluralità delle forme culturali
L’insieme delle forme culturali presenti in una determinata società può essere considerato come un sistema coerente di significati o come una realtà complessa in cui interagiscono elementi eterogenei a livelli diversi.
A partire dagli anni 70 è venuta accentuandosi la tendenza a sottolineare il carattere variegato dei significati culturali presenti in una determinata società e la pluralità delle loro fonti. La cultura appare quindi come un insieme di rappresentazioni, codici, modelli che costituiscono un insieme di risorse, la cui funzione, viene definita a seconda dei momenti.

Conclusioni all’articolo sulla cultura
Attraverso la determinazione culturale tentiamo di ridurre la complessità e nella costruzione dei processi simbolici e nella costruzione dei processi cognitivi e comportamentali ci identifichiamo in alcuni contributi e ne neghiamo altri.
Qualora questi processi vengano esplicitati e compresi possiamo attivamente contribuire all’evolversi della cultura stessa: basta conoscerne le regole e i meccanismi. Spero che questo articolo aiuti proprio questo processo.
Dottor Niccolò Di Paolo
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