Delitti di provincia: Alberto Scabini, Il borgia di Montù Beccaria

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Alberto Scabini è il primo protagonista della nuova rubrica “Delitti di provincia”. Denominato il Borgia di Montù, uccise probabilmente l’intera famiglia per accaparrarsi un’ingente l’eredità dalla quale era stato escluso.

Subdolo e strisciante, fu autore di un celebre caso di omicidio plurimo tramite avvelenamento accaduto sui colli dell’Oltrepo’ pavese negli anni ’70.

Di narrazioni e corbellerie le provincie son piene, ma il borgia di montù…

Di narrazioni e corbellerie le provincie son piene, racconti e dicerie si tramandano a pranzi di Natale e festicciole settimanali. Ve n’è una che di fasullo proprio non ha nulla: mi trovavo nei pressi di Montù Beccaria, grazioso borgo della provincia di Pavia, quando l’oste cui ero in visita narrò di un uomo che, desideroso d’aver più soldi, sterminò l’intera famiglia. Fratello, madre e amici caddero vittima di misteriosi morbi, fatali malori e tragiche dipartite tra sudori e crepacuori.  Fu così che cercando qua e là e scoprii la storia di Alberto Scabini, detto Borgia di Montù.

La morte di Giuseppe Scabini

La vicenda ebbe inizio con un figlio escluso dalla eredità, Alberto Scabini, e la morte di suo fratello Giuseppe, ricco agricoltore.

È domenica, 18 giugno 1967. Terminata la giornata di lavoro, l’esausto Giuseppe Scabini passa al bar di Montù per quattro chiacchiere con amici e il fratello Alberto. Un boero dal bancone, un brindisi col pinot e quattro insulti alla politica socialista, avrebbero fatto da deterrente alla calda giornata passata tra polvere e zanzare. Arrivato a casa, Giuseppe accusa dolori al petto, è pallido e sudato ma nulla fa presagire l’imminente dipartita; si crede in un malore fatale, null’altro.

I sospetti divengono realtà

Sano come un pesce, Giuseppe muore di colpo:

“sarà stato un infarto”

Se non che, pochi giorni dopo sarà la piccola Milena, di quattro anni, a sentirsi male proprio sulla strada di ritorno dalla casa di Giuseppe. Era con mamma e papà a fare le condoglianze alla famiglia del cugino defunto. Il tempo di un dolcetto e la bimba morirà tra affanno, sudore e dolori proprio come l’anziana Anna, madre di Giuseppe e Alberto.

Continue sciagure si abbattono su quella famiglia e su quella casa, una “casa maledetta”: pare che chiunque vi metta piede, passi a miglior vita avvinto dagli stessi sintomi. I sospetti diventano certezze quando a morire è Giuseppina Vercesi, di diciannove anni, poco dopo essere andata in visita in quella casa a Linda Quaroni, moglie di Giuseppe. Stessi sintomi di Mariuccia Perduca, con lei quello stesso giorno e salvata per miracolo.

Il borgia di Montù: Il parathion nei boeri

Disposta l’autopsia sul cadavere di Giuseppina, in esso vengono trovate tracce di Parathion, un anticrittogamico letale usato come diserbante su quelle viti che circondano Montù Beccaria e l’intera Valversa. Tra vigneti e tralci d’uva, arbusti figli di Bacco, si nasconde un assassino: gli sguardi ricadono immediatamente su Alberto Scabini, fratello e figlio dei defunti. Uno spendaccione sempre al verde, escluso dalla eredità e che avrebbe messo in atto gli omicidi per venire in possesso di quel denaro negato.

Dalle ricostruzioni pare che Alberto abbia usato i dolci come veicolo per il veleno, boeri e brioche, distribuiti ai famigliari ed erroneamente sfuggiti al controllo dell’assassino. Mangiati da estranei, uccidono la piccola Milena, la giovane Giuseppina e tentano Mariuccia.

Suicidio o l’assassino è ancora in libertà?

Arrestato, Alberto appare freddo e taciturno, non ammette nulla e verrà scagionato per assenza di prove. Quasi come una storia del terrore, la morte busserà alla sua porta, poco tempo dopo. Morte per avvelenamento da E605 o Parathion. Suicidio o l’assassino colpì nuovamente?

Il 1963: quattro anni prima della strage del borgia di Montù

Incuriosito dall’insolita vicenda, spulciai ancora e tra i vecchi articoli ingialliti come zolfo, mi accorsi di altri dubbi decessi: dobbiamo però fare un balzo al 1963, quattro anni prima della strage del Borgia di Montù successa nel 1967.

Fiorenza Ironi pranza serenamente assieme al marito nella loro abitazione di Milano. La venticinquenne inforca una foglia d’insalata ben condita e pochi istanti dopo s’accascia e muore sul colpo, con la testa nel piatto. L’autopsia non interessa, si credette anche allora in un malore e solo nel 1967 il fatto parve velarsi di un significato ben diverso. Il marito della defunta si chiama infatti Carlo Scabini, figlio del probabile artefice di diversi decessi nel comune di Montù Beccaria. Carlo Scabini è figlio di Alberto e nipote di Giuseppe Scabini.

Una strana concatenazione d’eventi

Una volta accaduti i fatti di quattro anni dopo, l’omicidio di Fiorenza apparve sotto una luce ben diversa. Carlo Scabini è infatti interrogato ma non ricorda i particolari, non ricorda la presenza del padre in casa, mancano verbali, interrogatori o referti medici ed è inutile spingersi oltre. Manca tutto, inutile cercare prove del coinvolgimento di Alberto Scabini. Ma non è tutto qui: due anni dopo la morte di Fiorenza Ironi, un altro “incidente” potrebbe essere collegato agli eventi del Borgia di Montù.

Cosa mi ha dato, del veleno?

1965, Montù Beccaria.

Il ragionier Gino Bernini entra al Caffè del Monte, saluta la titolare, Anna Della Valle e decide di assaggiare un boero, acchiappandolo dalla scatola posta a disposizione degli avventori. Ancora non può sapere che quel locale sarà centro nevralgico degli accadimenti del 1967, ancora non sa che la gola, nel paesello, si paga con la vita. Urla: «Che schifo! Cosa mi ha dato, del veleno?», fa pochi passi verso casa ma crolla a terra, morto. Infarto, una fatalità per un giovane di trentaquattro anni.

Il 22 dicembre dello stesso anno, la stessa signora Anna sarà al Caffè del monte per la consueta apertura mattutina; sbriga così qualche faccenda in attesa dei clienti: crollerà a terra poco dopo, morendo in preda all’affanno. Si dirà avesse assaggiato anch’essa quegli stessi boeri posti sul bancone. Una lettera anonima arrivata al marito alcuni giorni dopo, intimerà di togliere dalla vendita al pubblico i boeri sfusi.

Una lettera anonima, era del borgia di montù?

A distanza di anni, quei delitti paiono inequivocabilmente collegati da un movente tutt’ora in parte sconosciuto: ancor di più, il mistero si annoda grottesco se ci apriamo sulla possibilità che Alberto Scabini possa non essersi suicidato.

Dott. Mattia Curti, Criminologo

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