In questo articolo, esploreremo il tema delicato della deumanizzazione in carcere, analizzeremo il potere del trattamento dei detenuti sulla percezione dell’altro e sulla dignità umana, aprendo la strada ad una profonda riflessione sulla tematica.

Esplorando la Deumanizzazione in Carcere: Una Riflessione Critica
Tra le righe del mio primo articolo, ho citato un termine che potrebbe aver fatto storcere il naso ad alcuni lettori (deumanizzazione): coloro i quali hanno, permettetemi…con scarse argomentazioni a sostegno della loro tesi, come unica idea quella del “dachiudereebuttarelachiave”.
Credo che uno degli scopi di una rubrica sia quello di arricchire i temi noti integrando con contributi volti alla divulgazione per attrarre un pubblico sempre più ampio.
Di conseguenza, potrebbe farci chiedere in che posizione ci poniamo rispetto ad un determinato tema magari distante dal nostro campo di azione.

Le Riflessioni di Philip Zimbardo sulla Dualità Umana e la Permeabilità tra Bene e Male
Philip Zimbardo, psicologo statunitense, docente di psicologia alla New York University, alla Columbia University e alla Stanford University, noto soprattutto per l’esperimento carcerario di Stanford realizzato nel 1971 (citato anche nell’articolo della Dott.ssa Martina Di Dio, sull’aggressività), ha dichiarato che il mondo, in particolare l’essere umano, è pieno di bene e di male – lo è stato, lo è e lo sarà sempre. In secondo luogo, la barriera tra il bene e il male è permeabile e sfumata. E in terzo luogo, gli angeli possono diventare diavoli e, cosa forse più difficile da concepire, i diavoli possono diventare angeli.
L’esperimento ha rimarcato il potere del ruolo sociale e della situazione sul comportamento delle persone, indipendentemente dalle loro caratteristiche individuali e sociali.

da avere pregiudizi, ad essere giudicato: una Testimonianza dall’interno
«Parlo come chi, per primo, ha sempre pensato che chiudere e buttare via la chiave, fosse l’unica e giusta soluzione. Mi sentivo buono, giusto e corretto, rispetto a coloro che invece, già non lo erano stati.
Eppure, non mi rendevo conto che, nel mio piccolo mondo di legalità, nella vita comune di uomo CORRETTO, di persona CIVILE e GIUSTA, che rispettava le leggi, commettevo piccole infrazioni. Reati che, tutti, bene o male nella vita facciamo.
Poi, da uomo giusto e buono, sono diventato il cattivo. Quello che deve morire dietro le sbarre perché da angioletto è diventato il diavolo.
Ho commesso un crimine, orrendo, ed è giusto ch’io sconti la mia condanna. Ho arrecato molto dolore, a tante persone. Sono diventato il cattivo.
Ma com’è possibile? Ero buono…. O forse non lo sono mai stato? Sì, forse non lo sono mai stato perché il mio essere BUONO, era frutto della mia ignoranza, frutto dell’illusione che mi ero creato.
La mia meschinità stava nel sentirmi sempre più buono nel vedere quanto gli altri, fossero cattivi. E dentro di me dicevo “Guarda quei delinquenti, per fortuna io non sono così”. Insomma, ho fatto peggio di molti di loro.
E adesso?
Adesso vivo il mio presente, senza voler dimenticare il passato perché sarebbe un crimine ancor più grande di quello per il quale sconto la mia condanna. E guardo alle persone, quelle CIVILI, GIUSTE, CORRETTE e gli auguro che quando e se accadrà, abbiano il coraggio di chiedere aiuto.»

il pregiudizio come scorciatoia
Formulare un parere; dare un consiglio; esprimere idee e convinzioni, rientrano tra le più antiche libertà e sono state definite dalla giurisprudenza costituzionale come la «pietra angolare dell’ordine democratico», in quanto «condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale».
Allora, dunque, in cosa si differenzia questo tipo di libertà, a lungo desiderata e rivendicata, dal pregiudizio?
Una semplice definizione di pregiudizio è: dare giudizi ingiusti e/o negativi su qualcuno basati solo su ciò che si pensa di un gruppo di cui fa parte. Questi giudizi non sono basati su fatti o esperienze reali con quella persona.
In effetti, se ci soffermassimo a pensare, siamo soliti ad utilizzare il pregiudizio come una scorciatoia per orientarci nella vita. Ci risulta meno impegnativo esprimere un rapido giudizio su qualcuno piuttosto che impiegarci del tempo e sforzarci di conoscerlo come individuo.
E’ importante contrastare il pensiero dominante nell’opinione pubblica, alimentato e accettato più o meno universalmente, relativo al fatto che le persone che commettono reati siano così distanti da noi, dal nostro vissuto e quotidianità.

IL FENOMENO DELLA DEUMANIZZAZIONE in carcere
Citando, dunque, il mio primo articolo “Il duro lavoro sta anche in questo, ovvero nell’arginare il più possibile la deumanizzazione in carcere: quel processo che porta a percepire l’altro come “non essere” e consiste nello spogliarlo, togliergli un’identità mandando in dissolvenza tutto ciò che, magari a fatica, si era costruito fino a quel momento”. possiamo chiederci quanto questo fenomeno possa appartenere alla nostra modalità di pensiero.
La deumanizzazione in carcere è stata più volte messa in atto nel corso della storia, identificata come una delle più potenti forme di deprezzamento e ostracismo di individui o gruppi divenendo spesso il presupposto per conflitti e/o veri e propri stermini. È una forma di discriminazione massima usata come strumento di vessazione sociale e psicologica, guidata dall’odio o dall’indifferenza verso una collettività o un singolo individuo.
Ci si ritrova davanti alla negazione dell’umanità altrui, un processo che introduce un’asimmetria tra chi gode delle qualità specifiche dell’umano e chi ne è considerato carente.
Ma quale è il suo contrario? O meglio, di quale vocabolo deumanizzazione ne è il contrario?
I contrari hanno bisogno di un’altra parola per stabilire la differenza tra il significato o il senso di entrambi, poiché un contrario non può esistere senza un termine opposto.

Ed è per questo che bisogna chiarire anche il concetto di Umanizzazione – ripreso anche nell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e successivamente dalla Raccomandazione, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa – durante l’esecuzione della pena va tutelato il valore della persona, di cui vanno tutelati in ogni caso i diritti inviolabili, anche nella particolarissima condizione carceraria.
L’umanizzazione potrebbe essere un processo utilizzato per contrastare i succitati comportamenti negativi.
In che modo?
Attraverso l’inclusione dei (considerati) diversi nel gruppo degli esseri umani. Riconoscere un individuo come umano significa ritenerlo meritevole di considerazione morale, così da influenzare il modo in cui lo si percepisce e ci si relaziona ad esso.

la riforma penitenziaria
Basti pensare che, prima dell’entrata in vigore della legge di riforma dell’ordinamento penitenziario, vi era l’obbligo di chiamare i detenuti con il numero di matricola (al posto del cognome) volto alla soppressione della personalità del detenuto.
La Legge 354/1975, cambia radicalmente la realtà penitenziaria e i trattamenti da attuare all’interno delle strutture detentive.
Fino a quel momento, diverse correnti di pensiero si sono susseguite senza aver un vero e proprio ordinamento che le disciplinasse.
È come se, solo da quel 26 luglio 1975, ci si fosse resi conto di quanta importanza potesse avere anche una persona detenuta.
L’allora Presidente della Repubblica promulgò, tra il resto, che
“il trattamento penitenziario dovesse essere conforme ad umanità e dovesse assicurare il rispetto della dignità della persona. Un trattamento, dunque, improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome. Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti“.

conclusioni
Nonostante le importanti modifiche di legge, atte all’umanizzazione della pena e alla risocializzazione attraverso contatti con la comunità esterna, il carcere continua a mettere a dura prova l’equilibrio psicologico della persona in concomitanza di altri attori sociali (famiglia, operatori, istituzione carceraria e società).
Ogni persona dovrebbe entrare almeno una volta nella realtà detentiva e avere la possibilità di interfacciarsi con coloro i quali scontano una pena. Solo vivendo una tale esperienza, si potrebbe smussare e combattere i pregiudizi e gli stereotipi, lottando per il rispetto dei diritti.
Questo non significa né giustificare né, tantomeno, minimizzare determinate condotte, ma potrebbero essere utile a livello di prevenzione e agevolare il difficile processo di reinserimento in società dei soggetti coinvolti.
Per quanto sia comprensibilmente difficile, bisognerebbe reagire mettendo da parte l’insensibilità e l’indifferenza e adempiere ad un dovere che non solo ci è imposto dalla Costituzione, ma che è anche un obbligo umano e morale, per far cessare una situazione di degrado civile e di sofferenza umana, in cui migliaia di persone sono costrette a vivere.
Per uscire da questa “gabbia” bisognerebbe davvero provare ad andare oltre, oltre i nostri pregiudizi, oltre le nostre categorizzazioni.
…proviamoci.
Dott.ssa Federica Saracino

SUGGERIMENTI DI LETTURA IN MERITO AL MIO ARTICOLO sulla deumanizzazione in carcere
Nei precedenti articoli scritti per i divulgatori seriali ho parlato della vita in carcere e della morte per suicidio, soffermandomi sugli aspetti psicologici che riguardano la reclusione e su interventi di prevenzione.
Se sei interessato alla disciplina, ti invito a leggere anche gli altri articoli della rubrica di Criminologia che tengo insieme al Dott. Curti, criminologo che narra i serial killer italiani dal punto di vista cronistorico, psichiatrico e criminologico.