Hypnerotomachia Poliphili: storia di un’opera sedotta e abbandonata

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Soprannominata dai bibliografi come “Il più bel libro stampato mai, in tutti i tempi nell’occidente”, la Hypnerotomachia Poliphili può essere definita come una delle più grandi opere sedotte e abbandonate della letteratura italiana.

Hypnerotomachia Poliphili - Wikipedia

Hypnerotomachia Poliphili: un mix di lingue del passato

Figlia di un insieme di lingue, tra cui si annovera anche il geroglifico, quest’opera può vantare ben 169 illustrazioni di rara e particolare bellezza. Eppure, essa non viene menzionata nei libri di scuola del liceo, e difficilmente ci si entra a contatto se non si intraprende un percorso universitario di studi letterari.

La prima edizione della Hypnerotomachia Poliphili risale al 1499. Fu stampata per la prima volta a Venezia per la collana “I Tipi” di Aldo Manuzio, contando 38 capitoli e 169 illustrazioni xilografiche. La xilografia, o silografia, è una tecnica d’incisione in rilievo in cui si asportano dalla parte superiore di una tavoletta di legno le parti non costituenti il disegno.

L’opera, misteriosa ed enigmatica anche dal punto di vista linguistico, raccoglie in sè italiano, latino, greco, termini arabi e anche geroglifici presenti nelle illustrazioni. Il tutto è caratterizzato da uno stile elaborato e descrittivo. Ma perché riempire l’opera di preziosismi, arcaismi e termini ridondanti, tanto da renderla di difficile lettura?

Hypnerotomachia Poliphili, 1499 – Aldo Manuzio – F.Colonna – REPLICA

la paternita’ della Hypnerotomachia Poliphili

Le ipotesi su chi possa aver scritto la Hypnerotomachia sono svariate e tutti i papabili autori avrebbero almeno un motivo, linguistico e non, per poter ricevere il titolo di padre dell’opera. Forse fu scritta da Federico Colonna a quattro mani con Manuzio; forse l’autore fu Lorenzo il Magnifico, o magari Leon Battista Alberti, o ancora Giovanni Pico della Mirandola.

L’opera potrebbe essere attribuita a Francesco Colonna?

Un’ulteriore ipotesi, intrisa di mistero e misticismo, è stata però formulata: la paternità dell’opera potrebbe essere attribuita a Francesco Colonna, perché le lettere miniate poste all’inizio dei capitoli, pare formino l’acrostico:

“Poliam frater Franciscum Colonna peramavit”

ovvero “Francesco Colonna che ha amato intensamente Polia (tutto)”.

Il termine “frate” è ambiguo e ci rimanda a Francesco Colonna di Palestrina, tipo particolare e strambo. Se così fosse, “frate” sarebbe adatto perché lui faceva parte dell’Accademia di Pomponio Leto, l’Accademia Romana. Pomponio Leto fondò l’accademia in chiave pagana e i membri dell’accademia si chiamavano ”frater”, ed erano soliti partecipare a riti orgiastici, omosessuali, e probabilmente “magici”.

Se scritta davvero da Francesco Colonna, la Hypnerotomachia potrebbe essere vista come un rito iniziatico per accedere ai saperi dell’Accademia.

RICOSTRUZIONE VIRTUALE Il sogno svelato di Poliphili - SiTNews feel

Ma cosa ci racconta l’Hypnerotomachia Poliphili, opera così complessa e articolata?


Poliphilo, il protagonista, si addormenta, ritrovandosi in una selva oscura di memoria dantesca dove convivono draghi, mostri e bellissime fanciulle, e per lo spavento si addormenta di nuovo.

Il primo sogno

Si entra così nel primo sogno, ove immagina di perdere Polia e si dispera. Lo soccorrono le Ninfe di Venere che lo portano al palazzo d’Amore. Qui, per entrare, bisogna che l’uomo sacrifichi la sua parte più asinina a Priapo.

Venere gli propone allora di fare un altro gioco: messo davanti tre porte, egli deve scegliere quella giusta per trovare la sua amata. Fortunatamente, Poliphilo sceglie la porta giusta e trova Polia, che vedendolo, per l’emozione, si addormenta.

Il secondo sogno

Si entra così nel secondo sogno nel sogno, in cui Polia decide di non essere più innamorata di Poliphilio. Cupido la convince a tornare da lui e così succede, ma quando Poliphilio cerca di abbracciare Polia lei si dissolve nel nulla e lui si sveglia.

Una dedica del tutto inaspettata è quella fatta all’ultimo duca dei da Montefeltro: Guidobaldo.

Cagionevole di salute sin dalla tenera età, viene raffigurato sempre come pallido e magro, ma non è qui che risiede la contraddizione della dedica, quanto nel fatto che un’opera che parli di amore ed eros sia dedicata ad un uomo impotente. Ebbene si, il giovane e innamorato Guidobaldo era impotente e non consumó mai il matrimonio con Elisabetta Gonzaga, tanto da ricevere l’invito di papa Alessandro VI di annullare le nozze e prendere i voti. A questo si oppose Elisabetta stessa, che si vocifera, fosse innamorata e devota al marito nonostante l’impotenza.

Iris Filippone

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