Il “cinema d’essai” nasce in Francia, nei primi anni ’40, quando venivano chiamate “Cinéma d’art et d’essai” (che tradotto significa “Cinema d’arte e di prova”) le sale che proiettavano film d’avanguardia e rivolti ad un pubblico colto.

Com’è noto, i film sono un’ottima fonte per comprendere le tendenze del singolo e della vita sociale che esso conduce; anzi, i film ne rappresentano spesso proprio uno specchio.
Come sottolinea Joel Paris, nella sua analisi della cultura del narcisismo, infatti:
«Le idee hanno un impatto molto più ampio quando vengono diffuse dai media popolari. Le persone hanno imparato a conoscere l’alienazione prodotta dalla catena di montaggio dal film di Charlie Chaplin, Tempi Moderni, più che da qualsiasi libro».
Il cinema d’essai
Prendiamo qui in considerazione i film del grande ed enigmatico Cinema d’essai. Questi film, da un lato seducono l’occhio e dall’altro si mostrano non concessivi nei confronti dello spettatore; spettatore che non è davanti a essi passivo, bensì attivo e reattivo.
Queste opere cinematografiche sono concepite per essere viste e riviste, perchè talmente dense, stratificate, popolate da personaggi misteriosi, indizi da chiarire, storie parallele, teorie e discorsi (espliciti e sottintesi), da rendere impossibile esaurire la comprensione della loro complessità in una sola visione. Guardarli, significa ricevere un’ingiunzione ad approfondirli e approfondirli significa, di necessità, rivederli.
Ma rivedere questi film fa sempre andare incontro a qualcosa proveniente dai propri profondi smarrimenti: la mancanza di equilibrio, l’essere vincolati a un ambiente d’origine, gli sforzi per liberarsene, per trovare se stessi, la fuga dal mondo, il doloroso contrasto con i conflitti esistenziali, etc.; tutto ciò ridiventa attuale attraverso la visione.
A essere toccate sono quindi spesso le corde più dure e scomode del nostro sentire inconscio. Cionondimeno, è un cinema in cui ci si può anche sentire a proprio agio, in quanto non succube di quell’idea fissa di raccontare la realtà o, peggio, di spiegarla.

L’approccio al cinema d’essai
Non è stato facile per me accostarmi a questa fine arte cinematografica.
Come ogni opera raffinata, anch’essa ha bisogno di tempo per essere avvicinata e apprezzata.
I registi artefici di questo grande cinema (come il canadese D. Cronenberg, gli statunitensi T. Malick e D. Lynch, il messicano A. Cuarón, i russi A. Tarkovskij e A. Sokurov, l’ungherese B. Tarr, lo svedese E. I. Bergman, il danese L. von Trier, l’inglese P. Greenaway, gli austriaci M. Haneke e F. Lang, l’italiano F. Fellini e lo spagnolo P. Almodóvar, per fare qualche nome) – un cinema impegnato a sondare e sperimentare le possibilità di un medium in continua evoluzione – hanno idee peculiari, audaci, ma soprattutto infinite e sempre diverse.
La loro opera si risolve in rappresentazioni radicalmente antiholliwoodiane, contrarie quindi ai meccanismi manipolatori della commozione e dell’empatia propri del cinema cosiddetto “classico”, di massa, a cui siamo tutti abituati. È un cinema diverso da tutto quello che avevo visto fino ad allora e da allora il mio cinema preferito.
Alla fine di questi film si viene come sopraffatti dall’imprevedibile ampiezza della realtà. Perchè sono film traboccanti di simbologia e dove spesso il piano logico-cronologico della narrazione si spezza o si confonde, abolendo del tutto il già esiguo confine tra realtà e immaginario.
La simbologia nel cinema d’essai (e non solo)
Se poi, nel corso di una conversazione, si affronta appunto questo tema della «simbologia», traspaiono perlopiù due diversi atteggiamenti.
Da una parte c’è chi ritiene che la simbologia sia qualcosa di antiquato, di cui “al giorno d’oggi” nessun uomo ragionevole dovrebbe più occuparsi; all’estremo opposto c’è chi sostiene che essa sia invece la vera e unica chiave per comprendere il mondo profondamente.
L’uomo avrebbe, in quest’ottica, bisogno di simboli per afferrare ciò che altrimenti non potrebbe rappresentarsi e senza di essi non potrebbe sviluppare una riflessione costruttiva. Ma anche il concetto di «afferrare» è simbolico, in quanto deriva dal gesto della mano che vuole toccare per meglio valutare ciò che l’occhio ha visto.
È quindi facile dimostrare subito quanto la sfera simbolica sia penetrata nell’ambito del linguaggio quotidiano e dei nostri modi di dire e di fare. Durante il giorno e durante la notte, nel nostro linguaggio, nei gesti e nei sogni, che ce ne accorgiamo o no, ognuno di noi, infatti, usa i simboli.

Il concetto di simbolo
Il termine «simbolo» ha subìto nel tempo importanti variazioni o indebolimenti di significato, a causa della sua sovrapposizione con altri termini, che hanno portato a degradarlo in retorica o in banalità.
Il simbolo si distingue essenzialmente dal segno soprattutto perché quest’ultimo è una convinzione arbitraria che lascia estranei gli uni agli altri il significante e il significato (oggetto o soggetto), mentre il simbolo presuppone omogeneità fra significante e significato. I simboli sono ciò che anima i desideri, ciò che stimola certe imprese, che modella comportamenti e avvia successi o fallimenti.
La loro formazione, i loro intrecci, la loro interpretazione, così come le strutture del loro immaginario e la loro funzione simbolizzante, non si possono più disconoscere; è innegabile la presenza di realtà così attive. Dire che viviamo in un mondo di simboli è quindi riduttivo; piuttosto, è più corretto affermare che un mondo di simboli vive in noi.
Il concetto di significante e la componente attiva del soggetto osservatore
Il simbolo, insomma, è in tutte le situazioni in cui un «significante» allude a qualcosa che va al di là della sua pura forma esteriore: la fede nuziale, la croce, la bandiera nazionale, la rosa rossa o quella gialla, l’abito nero da lutto… innumerevoli cose, gesti, idee e modi di dire collegano pensieri e significati. Ben lungi dall’essere quella facoltà che forma immagini, l’immaginazione è un’energia dinamica a fondamento dell’intera vita psichica.
Il simbolo – carico di affettività e dinamismo – gioca infatti su una serie di strutture mentali, mobilitando la psiche nella sua totalità. E attraverso questo medium, il simbolo si situa a livello dell’immagine e dell’immaginario, invece che a livello intellettuale (proprio dell’idea).
Ciò non significa che l’immagine simbolica non produca nessuna attività intellettuale; essa resta il centro intorno al quale gravita tutto lo psichismo che mette in movimento e, inoltre, allontanandosi dal significato convenzionale, apre la via all’interpretazione soggettiva.
La comprensione dei simboli dipende quindi, più che dalle discipline razionali, dalla percezione diretta da parte della coscienza. Il simbolo è dunque molto più di un semplice segno e, oltre che al significato, si appella all’interpretazione.
Non solo rappresenta pur velando, ma realizza anche, in un certo senso, pur scomponendo. Infatti, se con il segno restiamo su una strada continua e sicura, con il simbolo si presuppone una rottura, una discontinuità, un passaggio a un altro ordine, ad altre dimensioni.
Ecco perchè la percezione del simbolo esclude un atteggiamento da semplice spettatore ed esige una partecipazione da attore.

L’espressione simbolica come guida
L’espressione simbolica traduce così lo sforzo dell’uomo intento a decifrare e dominare un destino che inevitabilmente gli sfugge, attraverso l’oscurità che lo circonda.
E l’uomo ha bisogno di un filo che lo guidi nei percorsi tenebrosi del labirinto della vita; ha bisogno di quelle tracce profonde nella vita culturale di cui non si debbono ricercare definizioni razionali e documentate, ma attraverso le quali si dovrebbe individuare il significato profondo che ha per l’uomo il mondo in quella cultura.

Il cinema d’essai come canale di osservazione simbolica e il punto di vista “archetipico” di Jung
Oggi i simboli devono perciò conoscere una nuova popolarità e il medium cinematografico è un ottimo canale per riuscire in tale intento.
L’immaginazione non deve più essere irrisa come la pazza del villaggio; deve essere, al contrario, riabilitata come sorella gemella della ragione, l’ispiratrice delle scoperte e del progresso.
Le conoscenze della moderna psicologia del profondo, che secondo l’insegnamento di Carl Gustav Jung ammette l’esistenza di un patrimonio comune di forme originarie (archetipi), possono essere un utile strumento per la lettura del pensiero simbolico e per la sua rivalutazione e riabilitazione nel mondo moderno.
Per fare ciò, si può trarre profitto dal multiforme materiale della storia della civiltà, dal ricco e vario patrimonio di simboli raccolto dalle varie discipline, necessario ad ampliare in modo sostanziale le nostre conoscenze sulle analogie e le differenze che esistono fra i diversi modi di pensiero.
Ogni esperto della materia sa, dopotutto, che su ogni tema affrontato potrebbero essere scritte intere monografie (e molte già ne esistono) e che molti simboli non possono essere spiegati in modo univoco, poiché possiedono una duplice, e a volte una molteplice, valenza; in effetti, i veri simboli possono istruirci in modo diverso e sempre rilevante, a seconda del punto di vista da cui sono presi in considerazione.
Il significato nascosto del simbolo
Talvolta, c’è anche la possibilità di indagare perché un certo simbolo porti a una determinata interpretazione piuttosto che a un’altra e debba essere riferito proprio in tal modo all’uomo, il quale interpreta sempre egocentricamente e antropomorficamente, cioè secondo il modo in cui egli si mette in rapporto con il mondo, così come lo comprende. Infatti, il simbolo non ha in sé stesso il proprio significato, bensì rimanda a qualcosa che è al di là. E in questo al di là, il simbolo nasconde e rivela allo stesso tempo, condizionando gli uomini che lo utilizzano.
Ciò può avere conseguenze positive: non si può certamente negare che innumerevoli simboli dell’antichità rientrino tra le ricchezze più preziose dell’umanità e abbiano portato a grandi produzioni nella storia della civiltà (come piramidi, cattedrali, templi, sinfonie, poemi, poesie, sculture, quadri, riti sacri, feste e danze).
Ma possono esserci anche conseguenze negative: questo è vero per esempio per gli Aztechi, presso i quali simboli rituali come “sangue sacrificale” e “cuore” hanno portato a crudeli sacrifici umani; ma è vero anche in un’epoca più vicina a noi, quando altri simboli, come “Führer”, “razza” e “sangue” hanno portato a conseguenze analoghe.
Conclusioni al simbolismo del cinema d’essai
Quanto detto fino a qui dovrebbe bastare per rassegnarsi al fatto che i simboli penetrano nel profondo della personalità e sono in grado di sviluppare un’esistenza autonoma e di influenzare coloro che li hanno creati.
L’uomo consapevole di questo fatto, ha perciò la responsabilità di scegliere simboli autentici e validi all’interno del patrimonio che la storia gli procura e di elaborare efficacemente quelli distruttivi, per i quali un uso spregiudicato potrebbe anche avvincere e incatenare l’uomo privandolo della sua volontà e degradandolo al ruolo di semplice automa. Ecco, i film in questione lasciano spazio a sufficienza per operare questo lavoro.
Scegliere di dedicare il proprio tempo alla visione di questi film, non dev’essere preso come un didascalico compito di comprensione – attenzione! Deve altresì essere vissuto come esperienza personale, intima e profonda; un interrogarsi a fondo.
Anche per questo, risulta molto utile lasciare sempre spazio sufficiente ai pensieri, in tutta la loro ricchezza. Così si potrà percepire il simbolo e l’epifania simbolica ci collocherà immediatamente in un determinato universo.
Ed ora, al di là delle apparenze e delle spiegazioni, vi auguro un buon primo incontro con il Grande Cinema d’avanguardia e con i suoi simboli, che colpiranno il vostro inconscio e vi muoveranno inevitabilmente verso nuove consapevolezze.
Dottoressa Elena Tsoutsis
Se ti è piaciuto l’argomento ti suggerisco di leggere l’articolo del dottor Giulio Nassi sul “Cinema e l’eccessiva importanza data alla narrazione“