Il caos

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“Confusione è parola inventata per indicare un ordine che non si capisce”

 

Di quale parte del mondo fai parte? Quella che vorrebbe avere giornate da 30 ore?? Oppure quella che passa il tempo annoiandosi succhiando energie e motivazione dagli altri?

Vorrei poterti dire che se fai parte del secondo gruppo di persone questo articolo non fa per te. Invece, in questo mese di profonda ricerca e ascolto, ho capito che sono due facce della stessa medaglia e che, per soddisfare i bisogni di entrambe le tipologie di persona, la chiave di volta è la stessa.

Ma, ovviamente, te la darò a fine articolo, quindi siediti, accendi il tegamino, metti su un po’ di acqua calda, immergi il tè o l’infuso che preferisci, e preparati a leggere questo articolo dandoti la possibilità di passare al paragrafo successivo SOLO DOPO aver compreso quello appena letto.

 

Partiamo dalla domanda iniziale, di quale parte del mondo fai parte?

Quando la mia amica Katia mi fece questa domanda 5 anni fa risposi convinto di far parte della prima, ed è una convinzione che mi portavo sin da quando finito il liceo iniziai a lavorare per risanare alcuni debiti che avevo con persone molto poco raccomandabili.

Il lavoro mi fece capire che ogni energia investita verso l’esterno avrebbe avuto il suo feed-back, in quel caso soldi (pochi) e la pratica della Lingua Inglese (essendo un locale per Americani).

Una volta assimilato questo concetto ho cominciato a riempire la mia agenda di ogni sorta impegni, l’importante era che mi portassero ad uscire di casa così da tornare la sera con qualcosa in più nonostante non avessi idea di cosa andavo cercando.

Non solo, avendo questa perenne sensazione di non avere tempo potevo giustificare a me stesso ogni sorta di insoddisfazione, poiché lavorando in continuazione e riempiendomi di cose che DOVEVO fare potevo raccontarmi di non avere il tempo per fare quelle che VOLEVO fare.

 

Ripensando a quegli anni mi rendo conto che ancora oggi molte cose sono cambiate ma questa no. Ho sempre apparentemente la giornata piena di cose da fare, e nonostante abbia molto più tempo “libero” di allora e nonostante abbia inserito tantissime cose che VOGLIO fare, non me lo godo per niente, e quando ho una pausa massacro il mio cervello di social e videogames.

 

Come mai questo accade? ecco una super semplificazione del mio loop:

Non ho una meta (chiara, realizzabile, tangibile) -> mi rendo conto che non ho una meta e quindi mi riempio di cose da fare per non pensarci -> mi manca del tempo per dedicarmi alla ricerca della meta -> finalmente trovo il tempo, ma non ho fatto niente per cambiare la mia situazione -> la meta dunque non si trova, ma in compenso mi sono dato da fare tutta la settimana, quindi ora merito una pausa! -> social, video games, masturbazione mentale -> è già il tempo di tornare a lavoro, ma la frustrazione rimane, anzi aumenta. E via via si ricomincia.

Sai chi entra in campo ora? la peggiore delle vocine, si chiama “mi devo saper accontentare” e recita così:

“eh! ma io la meta ce l’ho eccome! ho tutta una serie di obiettivi ed aspirazioni, mi do da fare e ce la metto tutta, che devo fare più di così? è normale che abbia bisogno di pause, di divertimenti, di tempo per lo svago o per l’ozio”

 

Ti è chiaro il procedimento? forse no, ma è ovviamente un paradosso mentale ed è normale che sia di difficile comprensione.

Vedi che le prime due distinzioni si accavallano? Il nullafacente lamentoso e il tuttofare un po’ meno lamentoso ma frustrato si uniscono in un vortice di pippe mentali, di scuse e di scusanti, di giustificazioni, dove è presente sia la mancanza di tempo sia la noia e l’ozio.

Quello che voglio mettere in risalto da ciò è la prima freccettina (torna pure a rileggere il loop esplicato poco sopra).

Il problema non è non avere una meta (che è una generalizzazione, poteva esserci scritto “non riesco a passare un esame” o “non riesco a lasciare il mio partner”)

Cosa c’è alla base di quel sillogismo interiore? Cosa impedisce a quella freccetta di andare in una direzione di soluzioni? UNA PROFONDA NON ACCETTAZIONE DEL PROPRIO “SE’ IN DIFFICOLTA’ “, camuffata da un bisogno di fare tante cose per riuscire a guardarsi allo specchio prima di dormire.

 

A volte mi capita di non accorgermene e di cercare nel mondo (un po’ come quando avevo 20 anni) una risposta che mi apra gli occhi sulla soluzione al problema del momento.

Mi capita di cercarla nei video su youtube, nei film prima di dormire, nel dialogo con le persone, e, secondo il mio modesto parere, è tutto molto sano e saggio.

Per esempio, oggi ho trovato una teoria secondo cui svegliarsi tutte le mattine alle 5 e mezzo è un modo per recuperare energie mentali e tempo.

Questo si chiama soluzione comportamentale, molto efficace a breve termine, ovvero cercare un spunto per mettere in atto dei comportamenti, quindi delle azioni, e risolvere in maniera puntuale e immediata il problema percepito grazie alla sensazione disagio.

Giusta? Sbagliata? è una soluzione, e sicuramente è la più immediata. Non so se la più “intelligente”, ma sicuramente per uscire subito dal vortice negativo e agire verso un’altra direzione è molto utile.

Il rischio è che un nuovo vortice, o lo stesso camuffato da situazioni diverse, torni a vivere dentro te ma che, stavolta, non sarà risolvibile dallo stesso ciclo di comportamenti -azioni.

 

E allora che si deve fare?

Si deve tornare alla base, all’inizio, alla causa reale del disagio e farne qualche considerazione.

Il disagio è provocato e allo stesso tempo causa di una NON ACCETTAZIONE DI SE’.

Se accettassi la mia difficoltà e SOPRATTUTTO i miei limiti canalizzerei le possibili soluzioni all’interno delle mie aree di competenza oppure studierei come apprenderne di nuove.

Questa è provocata da un’errata interpretazione del malessere, che ancora una volta si pensa che sia qualcosa da cui rifuggire. Invece, per tutti gli altri animali eccetto l’uomo:

IL DISAGIO, LO STRESS E LE SENSAZIONI NEGATIVE IN GENERALE sono il modo con cui il corpo segnala UN CAMBIAMENTO 

(o più ottimisticamente parlando, una CRESCITA INTERIORE).

 

Hai mai sentito parlare di come cambia corazza un’aragosta?

Per spiegartelo prendo in prestito il testo di un video di Abraham J. Twersk, Rabbino Psichiatra e Professore presso l’Università di Medicina di Pittsburgh

Questo signore in un famoso video (https://www.youtube.com/watch?v=YaREIoBUlsg) inizialmente spiega come le aragoste siano “animali soffici e mollicci che vivono dentro una corazza rigida che NON SI ESPANDE”.

Allora come fa l’aragosta a crescere? Qui cito:

Quando l’aragosta cresce quel guscio diventa veramente limitante, ed è come se si sentisse sotto pressione e a disagio. Così l’aragosta va sotto una roccia per proteggersi dai pesci predatori, si toglie il guscio e ne produce uno nuovo. Con il tempo anche quel guscio diventerà limitante, così l’aragosta torna sotto una roccia e ripete questo processo numerose volte. Lo stimolo che spinge l’aragosta a crescere è CHE SI SENTE A DISAGIO. Ora, se le aragoste avessero dei dottori non crescerebbero mai, perchè appena si sentirebbero a disagio andrebbero dal dottore per avere del Valium o del Precocet e sentirsi bene senza mai liberarsi del proprio guscio. Quindi credo che dovremmo capire che i momenti di stress, sono anche dei segnali per crescere, se usiamo le avversità correttamente possiamo crescere con esse”.

 

Cosa cambia tra noi e l’aragosta? L’aragosta accetta il suo disagio e lo usa per crescere, noi lo rifiutiamo e mettiamo i problemi sotto il tappeto come la polvere sperando che prima o poi scompaiano da soli.

 

Un tizio di nome Luca diceva sempre che “L’unica cosa che non si può cambiare di noi è che si cambia continuamente”.

La conclusione che ne traggo io è che se non si è centrati e consapevoli nell’accoglierlo, questo cambiamento può essere retro-attivo invece che pro-attivo, portando quindi ad una decrescita piuttosto che una crescita”

 

Conclusioni. Qualsiasi sia il tuo disagio, se questo ti blocca e ti rende frustrato, comincia dal ripeterti mentalmente “Io mi amo e mi accetto così come sono”.

Dopo di che, fai un bell’elenco delle cose che ti riesce bene fare e quelle che non ti riesce fare. Usa le tue qualità per risolvere il problema e ricordati di avere dei limiti reali.

Accettali!

Non cercare soluzioni che sono fuori dalle tue aree di competenza, prova ad usare le tue qualità per risolverle. Se la soluzione non arriva, allora prendi UNA di quelle che non sai fare, mettiti nelle condizioni di sfidare te stesso ogni giorno su quel determinato argomento e circondati di persone che lo sanno fare (ma sì, prendiamo in prestito un po’ di soluzioni dai colleghi sociologi)

 

L’accettazione di sè è una delle due grandi cause dei disagi interiori. Per l’altra bisogna che tu aspetti il prossimo articolo, ma se sei arrivato fino in fondo a questo significa che la pazienza è sicuramente una delle tue doti. Non so proprio dirti quando uscirà il prossimo, intanto rifletti su quanto detto. Se hai obiezioni o spunti da condividere, non esitare a commentare qui sotto.

 

Un caro saluto.

Niccolò Di Paolo

 

foto made by djake08 https://www.instagram.com/djake08/