Il Fieldwork per l’etnologo: come Organizzare la ricerca sul campo

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Il campo di ricerca, in inglese ”fieldwork”, è il momento essenziale per l’etnologo e per la sua formazione, è il momento della costruzione del sapere antropologico. 

La ricerca sul campo è uno dei momenti più importanti ed emozionanti per un antropologo. E’ l’incontro effettivo e di condivisione con l’altro nella sua dimensione sociale e culturale. Si tratta di un metodo che nasce dall’intuizione di Franz Boas e Bronisław Malinowski, antropologi che formalizzano la necessità di recarsi presso i luoghi da indagare.

L’osservazione partecipante

L’osservazione partecipante è un metodo percepito come rivoluzionario per le scienza sociali – fino ad allora le ricerche si svolgono a distanza. Questo tipo di ricerche sono infatti chiamate “da tavolino”, perché di fatto non si entrava mai in contatto con l’oggetto della ricerca.

L’osservazione partecipante, prevede il trasferimento per un determinato periodo di tempo presso il gruppo o la società da indagare.

Secondo il Dizionario di Antropologia, curato da Ugo Fabietti e Francesco Remotti, per la casa editrice Zanichelli: “Malinowski (1922) delinea il metodo dell’osservazione partecipante una pratica di ricerca intensiva che attribuiva all’antropologo doti specialissime di adattabilità, pazienza e capacità di comprensione. L’antropologo va a vivere presso il gruppo che intende studiare, partecipa alle loro attività quotidiane, impara, per quanto gli è possibile e in relazione ai suoi obiettivi a parlare, pensare, agire come loro”.

Prepararsi al campo di ricerca

Viaggiare sicuri, in maniera responsabile e consapevole sono aspetti da non trascurare. La sicurezza personale e del gruppo di ricerca va messa sempre al primo posto. Nella fase preliminare è importante organizzare nel dettaglio gli aspetti logistici: gli spostamenti, l’alloggio, i documenti necessari e si verificano – attraverso i canali istituzionali – rischi sanitari, la sicurezza ed eventuali stati di emergenza. In molte missioni avere una copertura vaccinale contro il tetano è obbligatoria, così come una assicurazione sugli infortuni. 

Ci vengono in aiuto le parole di James Clifford in Strade. Viaggio e traduzione alla fine del secolo XX, per Bollati Boringhieri: “Gli etnografi sono tipicamente dei viaggiatori che amano indagare (per qualche tempo), diversamente da altri viaggiatori, che preferiscono attraversare un luogo dopo l’altro, gli antropologi tendono ad essere gente di casa fuori casa. Il campo come pratica spaziale è dunque una forma di residenza specifica per stile, qualità e durata. Il campo è anche una serie di pratiche discorsive. La residenza implica una reale competenza di comunicazione: non ci si affida più a traduttori, ma si parla e si ascolta in prima persona”.

La strumentazione sul campo

Arrivare sul campo preparati, ed informati circa l’essenziale per la vita quotidiana è di vitale importanza. Ci si organizza sugli aspetti materiali: cosa portarsi, gli indumenti adeguati, la strumentazione. Come per esempio: registratori, microfoni, telecamere, macchine fotografiche, taccuini, cartine geografiche, una tenda, medicine, integratori, batterie, torce… Arrivati sul campo la situazione potrebbe essere diversa da quella che potevamo prefigurarci, ed è una possibilità che dobbiamo considerare

Imprevisti sul campo

Vivere il campo di ricerca ha degli aspetti entusiasmanti ma anche delle difficoltà che possono diventare impedimenti. La logistica e gli spostamenti possono essere difficili e la mobilità pubblica inadeguata, si possono avere difficoltà per fare la spesa o per andare dal medico, ma anche raggiungere le stazioni ferroviarie o cucinare può risultare difficile. Informarsi sulla pericolosità delle faune selvatiche o degli insetti che potrebbero infestare la casa che ci ospita.

Il campo di ricerca è un momento di crescita personale

Il campo di ricerca è un momento di crescita personale. E’ un periodo di sperimentazione, di conoscenza e di valutazione delle proprie capacità. E’ importante partire con una buona organizzazione. Ci aiutano le parole di James Clifford in Strade. Viaggio e traduzione alla fine del secolo XX, per Bollati Boringhieri: “Può riuscire utile vedere “il campo” da un lato come un’ideale metodologico e dall’altra come un luogo concreto di attività professionale. Il campo dell’antropologo è definito come un sito di residenza e lavoro produttivo dislocati, come una pratica di osservazione partecipante che dopo gli anni Venti è stata concepita in termini di una sorta di mini immigrazione. Il lavoratore sul campo viene “additato”, “apprende” la cultura e la lingua. il campo è una casa lontano da casa, un’esperienza di residenza che include il lavoro e la crescita, lo sviluppo di una competenza a un tempo personale e culturale”

Vivere il campo

Vivere insieme agli altri e condividere gli spazi per lunghi periodi, in situazioni precarie e poco confortevoli, può minare psicologicamente anche il più temprato degli antropologi. E’ importante informarsi con chi già si è recato in missione. La preparazione al campo prevede una valutazione sulla nostra capacità di relazionarci con l’altro e di valutare la nostra adattabilità. Un campo può fallire per la durezza delle condizioni di vita e per delle difficoltà che non abbiamo previsto.

Il piano di lavoro

Avere una piano di lavoro è utile per presentare un progetto di ricerca e per formalizzare una richiesta di finanziamento a un ente pubblico o privato, in questo caso si indicano le tempistiche di studio in base ai lavori di ricerca già esistenti. La ricerca sul campo è il momento principale per un antropologo, quando dopo uno studio  bibliografico e di archivio si recuperano i dati in situ. Il campo di ricerca è un’esperienza complessa: nel minor tempo possibile si raccolgono il maggior numero di dati.

“Fare campo”

“Fare campo” non vuol dire recarsi dall’altra parte dell’emisfero. Avere la possibilità di costruire una ricerca a grande distanza rispetto alla nostra residenza ha bisogno di una copertura finanziaria maggiore, così come entrare in contatto con le istituzioni locali è più complesso.

L’antropologo scrive

L’osservazione partecipante per il grande grado di libertà che conferisce al ricercatore, per la scelta dell’angolo della ricerca, legata spesso ad intuizioni che solo vivendo e partecipando alla vita comunitaria possono emergere, rimane un metodo di ricerca efficace e totalizzante per il coinvolgimento della persona. L’antropologo scrive, tiene traccia attraverso la scrittura del percorso della ricerca e delle testimonianze, ed è il nucleo centrale della restituzione del lavoro di campo.

Anna Rizzo, antropologa

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