Il caso forse più noto di follia o disturbo mentale nella storia della musica è forse quello legato al nome di Robert Schumann.
Nonostante la sua malattia, che come vedremo ha ripercorso tutta la sua vita, egli è uno dei più grandi compositori e pianisti della propria epoca e le sue opere risuonano nelle sale di concerto del nostro secolo.

Allora – oltre a ripercorrere i fatti di cronaca per capire l’evolversi della vita e della malattia di Schumann – è forse utile interrogarci sul concetto di follia e sul rapporto che essa intrattiene con il processo creativo ed artistico.
La morte e la follia di Schumann
Come è noto, Schumann muore nel 1856 nel sanatorio di Endemich, presso Bonn, dove egli è stato internato dal 1954; contrariamente a quanto si potrebbe credere, egli non muore per motivi legati alla sua salute mentale, ma per un avvelenamento dovuto alla somministrazione del mercurio con il quale all’epoca curavano la sifilide, malattia che in realtà egli aveva contratta molti anni prima.
Gli anni passati in manicomio sono privi di storia, fatto che rivela una condizione di vita interessante e sul quale sarà forse interessante soffermarci di seguito; più interessante sono gli anni – per quanto riguarda i fatti di cronaca della vita di Schumann prima di perderci in considerazioni concettuali – che vedono la progressiva perdita di coscienza del compositore e la strada che lo guida al manicomio; per ripercorrere questa vita che si sta sgretolando sotto il segno del disturbo mentale, prenderemo in considerazione le Geistervariationen (o Variazioni dello Spirito) per pianoforte, l’ultima composizione di Schumann.
Questa è stata finita pochi giorni prima che il compositore entrasse in manicomio.
Di fatto lo stato di salute del compositore stava peggiorando di giorno in giorno. Come ci testimoniano i diari della amata moglie Clara, pianista e braccio destro del compositore – anche nel senso concreto della parola, in quanto Robert perderà l’uso della mano destra, in seguito ai suoi esperimenti dannosi per rafforzare la mano! – Schumann nella notte tra il 17 e il 18 febbraio sente sussurrargli dagli angeli una dolce melodia, riecheggiante la tradizione dei corali per la sua semplicità, in mi bemolle maggiore.
Questo semplice canto risuonerà poi chiaro in tutte le cinque variazioni che seguono il Thema, che per prima volta la espone.
Le variazioni di Schumann
La forma delle variazioni sarà particolarmente amata dai compositori romantici. Caro amico della famiglia Schumann, Brahms scrive numerose opere in questa forma, tra le quale particolarmente importante la Variazione su un tema di Handel, e ricordiamo anche le Variazione sul nome Abegg di Schumann.
Confrontando le Geistervariationen con i due sopracitati, si notano significative differenze:
nel primo il tema è chiaramente percettibile in tutte le variazioni, inoltre, queste non si allontanano nemmeno troppo dallo spirito limpido e calmo del Thema iniziale; a confronto, nelle Variazioni Abegg – che è per altro l’op. 1 di Schumann ed è dunque cronologicamente lontana dalle Geistervariationen – il tema è percettibile solo rarissime volte ed esso si sacrifica per un libero virtuosismo. Nelle variazioni brahmsiane la forma delle variazioni guadagna dimensioni grandiose degni di una sonata, con il numero delle variazioni che spesso si avvicina a venti, mentre le cinque variazioni dall’ultima opera schumanniana sono piuttosto modeste.
Con queste considerazioni non si vuole certo giudicare le Geistervariationen come inferiori; l’opera è certamente relativamente corta e non è certamente caratterizzata da una particolare difficoltà tecnica – ne pianistica ne compositiva – ma questo non determina certo una inferiorità di contenuto. Si tratta di una musica intima, la cui semplicità tradisce che il suo compositore era ormai più rivolto alle cose di un altro mondo che al nostro, dove invece bisognava tenere contro della destrezza tecnica della propria scrittura e del possibile successo da riscuotere.
Le tarde pubblicazioni dell’ultima composizione di Schumann
Le ipotesi intorno alla motivazione di Clara nel non pubblicare il manoscritto, motivo per il quale la prima pubblicazione dell’opera è solo del 1939, sono due: uno, motivato dall’inferiorità dell’opera; l’altra invece dovuta all’attaccamento personale di Clara alle ultime pagine, per altro così intime e soavi, scritte dal marito. L’opera, probabilmente per la così tarda pubblicazione, è poco conosciuta ed eseguita.
Con il carattere quasi beato della composizione stridono le condizioni del compositore nelle quali ha lavorato.
Qualche giorno dopo la ‘ispirazione angelica’ del 18 febbraio – che è in realtà la riapparizione di una vecchia melodia già utilizzata in varie altre composizioni, tra i quali il Lied Frühlings Ankunft – il compositore abbozza le cinque variazioni; dopo la prima bozza, che poi sparirà, Schumann comincia a scrivere una nuova versione delle Variazioni. Il giorno 27 febbraio interrompe però bruscamente il lavoro, preso da una crisi di depressione, ed esce di casa per dirigersi verso il Reno; viene ripescato dal fiume mezzo ghiacciato da dei barcaioli e viene riportato a casa dopo il tentativo suicida.
Nonostante l’episodio tragico, finisce di lavorare, ormai da solo, perché la moglie Clara si trasferisce da un amico su consiglio del medico della famiglia.

La follia di Schumann: romanticismo e depressione
Lo stato del compositore peggiorava da tempo ed egli, cosciente della sua malattia, anche nel passato ha chiesto ripetutamente alla moglie di poter essere internato in un istituto. Questo avviene il 4 marzo 1954, nella stessa settimana nella quale ha terminato le Geistervariationen.
Com’è possibile che un compositore possa scrivere una musica talmente angelica e qualche minuto dopo gettarsi nel fiume in preda ad un attacco? E più in generale, come è possibile che egli soffrisse sin da giovane età da crisi depressive e abbia composto nel frattempo la musica forse più leggera, più spiritosa e dolce, la quintessenza del Romanticismo?
Quale sia stata esattamente la sua malattia (l’ultima diagnosi è stata ‘disturbo bipolare’) e quali siano stati i sintomi precisi di quella patologia, non è ne il compito di questo articolo – di tutt’altra natura – ed è inoltre assai difficile da definire, considerando l’arretratezza della psichiatria ai tempi di Schumann.
Una parola che emerge però spesso nelle descrizioni dello stato mentale di Schumann è ‘melancolia’.

La melancolia di Schumann
Partiamo da questa parola, di antica veste, intorno ad una breve concettualizzazione dello ‘stato di follia’ di Schumann.
La melancolia o ‘lipomania’ – un’altra parola che si trova anche nelle diagnosi del compositore – è caratterizzata da «una tristezza morbosa e ostinata, da un pessimismo invincibile». L’origine della parola risale all’antica teoria patologica dei temperamenti umorali, che divide tra quattro principali personalità:
- collerico
- flemmatico
- sanguigno
- melancolico
La melancolia assume un altro significato durante il Rinascimento, precisamente nelle teorie neoplatoniche di Marsilio Ficino. Questi, nella sua opera De Vita Triplici, comincia a collegare il temperamento melancolico al genio e all’intellettuale.

Il luogo comune genio-follia
Che il genio o l’artista sia un folle è in qualche modo diventato un luogo comune.
Secondo Theodor W. Adorno questa idea è anche molto nociva perché ci presenterebbe il mondo artistico come necessariamente decadente. Riflettendo però sugli ideali del Romanticismo vediamo che l’invenzione di Ficino nel collegare il genio con la melancolia riscuote grande successo ed entra a far parte in tutte le arti dell’epoca. Nella pittura, per esempio, che vede al suo centro sempre l’uomo solitario ed isolato; lo stesso tema vale per le poesie e per i lied più importanti.
Inoltre, il distacco dal reale, e da sé, viene ulteriormente a rafforzarsi con l’estetica che comincia a considerare l’opera d’arte come la sublimazione dell’oggetto. L’opera d’arte come qualcosa che è al di là del reale tangibile.
E non è proprio questo che succede all’uomo preso dal delirio, dove il «soggetto non riesce più a dare una corretta lettura del mondo che lo circonda ma lo interpreta in funzione di un Io modificato»?

Conclusioni all’articolo sulla follia di Schumann
Lo stato alterato, la melancolia, «paralizza l’azione»; ma se l’azione non è stata del tutto paralizzata – almeno nel caso Schumann, (per fortuna) – perché quell’azione ci ha donato un patrimonio musicale importantissimo?
Potremmo pensare che quell’azione paralizzata, è una vita paralizzata, in quanto incapace ad uscire e vivere all’infuori della vocazione del proprio genio, dunque del proprio lavoro creativo.
Un’immagine simile la ha proposta anche Giorgio Agamben riflettendo attorno alla pazzia di Hölderlin. Agamben distingue tra la vita abitante degli uomini, cioè la «vita vissuta secondo abiti ed abitudini», e la vita abituale – quello che, similmente a Schumann, Hölderlin passerà isolato – nella «quanto vi è di più comune e insignificante diventa infinitamente significante».
Chissà, quante cose sfuggono a coloro che vivono nella ‘vita abitante’. Chissà quante sono le cose che si reputano troppo insignificanti; ed è, forse, proprio in quella piccola increspatura della realtà che a noi sfugge inosservato, che il genio comincia a creare.
Anna Farkas, pianista musicologa
Se ti è piaciuto il mio articolo su un tema simile ti suggerisco di leggere l’articolo della dottoressa Elena Tsoutis che trovi qui di seguito