L’autenticità nella filosofia contemporanea: analizziamo l’individualismo nella cultura odierna dell’auoteralizzazione

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L’autenticità è un tema ricorrente nella filosofia sin da metà del XVII secolo, a partire da Cartesio, Locke, Rousseau e Herder, fino ai contemporanei Bloom, Mead e, in gran parte, Taylor.

Ripercorriamo sinteticamente come esso è stato visto negli ultimi 3 secoli basandoci sul libro “Il disagio della modernità” di Charles Taylor.

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Il relativismo Superficiale

In uno dei suoi libri più famosi (La chiusura della mente americana, 1987) Allan Bloom, filosofo, classicista e accademico americano, poneva in analisi gli orientamenti culturali, politici e morali degli studenti universitari americani.

Nel caso specifico Bloom trattava il relativismo superficiale della gioventù istruita dell’epoca in cui ognuno possedeva i propri personali valori. Questi dovevano essere rispettati in un’ottica di rispetto reciproco senza possibilità di disscussione o contestazione.

Per la sub cultura universitaria di quegli anni, secondo Bloom, i valori erano questione di scelta individuale e personale, denominato dallo stesso filosofo “relativismo superficiale”.

Il relativismo superficiale (o morbido) e la cultura dell’autorealizzazione

Il relativismo superficiale rappresenta il corollario di una forma di individualismo in base al quale ciascuno ha diritto di sviluppare la sua propria forma di vita fondata sulla percezione di ciò che è realmente importante.

Ciascuno è chiamato ad essere fedele a se stesso e ricercare la propria realizzazione ed in che cosa essa consista lo deve decidere da sé.

Si tratta di una posizione definibile come individualismo dell’autorealizzazione. Esso comporta la messa al centro dell’io con il conseguente restringimento e appiattimento della vita ed una concomitante esclusione o inconsapevolezza delle problematiche che trascendono l’io.

Ne emerge un’evidente difficoltà a livello politico, come descritto nel terzo disagio nell’articolo precedente, dovute ad una deresponsabilizzazione o ad una incapacità di fare politica nel proprio raggio d’azione.

Charles Taylor, filosofo e accademico canadese, riguardo a questa analisi è d’accordo nel sostenere che il relativismo superficiale, da lui rinominato relativismo morbido, sia un grave errore poichè fa sì che si sacrifichino i rapporti umani per inseguire i propri personali ideali.

Si lasciano famiglie e figli perché ci si sente chiamati a fare questo e si sente che se venisse fatto diversamente la propria vita sarebbe sprecata. Questo sarebbe contrario alla nostra cultura dell’autorealizzazione, una cultura che ha fatto perdere di vista le questioni che trascendono gli individui.

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La Cultura dell’autenticità

Charles Taylor, tuttavia, nonostante sia d’accordo con Bloom sul concetto di relativismo morbido, contesta al collega di non considerare due fenomeni:

  • Il potente ideale morale che sta dietro la cultura dell’autorealizzazione;
  • e l’ideale di autenticità (dell’essere vero, genuino) che nel relativismo morbido di Bloom viene compleramente perduto.


Il primo è formato da ciò che desideriamo misto a ciò di cui abbiamo bisogno.

Il secondo destruttura il concetto di realtà assoluta poichè tutti possiamo decidere per noi stessi compresa la possibilità di difesa di un ideale morale

Per Taylor questa è una contraddizione perché il relativismo è alimentato da un ideale morale, e nella cultura dell’autenticità chi adotta un ideale aderisce a un liberalismo di neutralità scelto da una maggioranza sociale.

Uno dei suoi principi fondamentali è che esso deve essere neutrale riguardo a ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Etica e Morale

Da chi viene oscurato l’ideale di autenticità

Ma c’è anche chi va contro il relativismo morbido relegando le discussioni sul valore della vita ai margini del dibattito politico rendendole invisibili.

Questo oscura l’ideale di autenticità attraverso:

  • il soggettivismo morale, ovvero l’insieme delle posizioni morali non fondate sulla ragione o sulla natura delle cose ma adottate perchè ne veniamo attratti. Questo genera una consequente incapacità di comprenderne i dilemmi attraverso la mera ragione;
  • la percezione di un giusto e uno sbagliato coerenti con una natura umana in maniera quasi “naturale” (posizione fondata sul relativismo aristotelico);
  • la spiegazione/non spiegazione che diamo ai disagi della modernità, quei tratti che l’uomo sperimenta come perdita o declino nonostante la nostra civiltà si sviluppi, come conseguenze collaterali del mutamento sociale stesso.

La necessità e il desiderio di una ricchezza economica, e a volte fama, per soddisfare bisogni reali e apparentemente tali potrebbe andare contro ideali morali.

Tutto questo oscura l’ideale di autenticità facendolo passare per il desiderio di fare ciò che ci piace senza interferenze.

Taylor sostiene che l’autenticità vada presa sul serio in quanto ideale morale rifiutando il relativismo che giustifica l’ignoranza sulla conoscenza del passato, sulla cittadinanza, sulla solidarietà e sull’ambiente naturale.

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Il ripristino e dell’autenticità

Secondo Taylor occore allora un’opera di ripristino grazie alla quale l’ideale dell’autenticità possa aiutarci a rinnovare le nostre prassi.

Come?

  • credendo che l’autenticità sia un ideale valido (per andare contro alle critiche mosse verso essa);
  • agendo secondo ideali morali e argomentare su questo (rifiutando il soggettivismo)
  • parlandone credendo che questi argomenti possano fare la differenza (va contro quelle spiegazioni della modernità che ci vedono imprigionati nel sistema politico-burocratico-industriale).
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L’etica dell’autenticità

L’etica dell’autenticità è nata a fine ‘700 e si avvale di forme d’individualismo della razionalità disincarnata.

Ad innaugurarla fu Descartes, secondo cui ciascuno deve pensare auto-responsabilmente a sé. L’etica dell’autenticità, tuttavia, pur avvalendosi di alcune forme di individualismo, è di fatto anche in conflitto con esse.

Essa è figlia dell’età romantica, dell’idea in base alla quale la razionalità disincarnata e l’atomismo vengono criticati poichè si basano sull’idea che vi sia un giusto o uno sbagliato legati ai nostri sentimenti e non a una faccenda di puro calcolo.

La moralità possiede quindi una voce interna la quale ci dice qual è la cosa giusta da fare. In questo quadro l’essere in contatto con i nostri sentimenti morali è importante come mezzo finalizzato allo scopo di agire giustamente.

L’idea di autenticità deriva da questo nuovo accento morale che muove da sé stessi attraverso un collegamento con il nostro profondo (e non con Dio).

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Rousseau e La libertà che si autodetermina

Se dal principio l’idea che la fonte sia dentro di noi non escludesse un nostro collegamento con Dio o con le Idee, la strada che conduce a Dio sembra passare attraverso la nostra consapevolezza riflessiva su noi stessi.

Rousseau parlava di morale in termini di una voce interna che dobbiamo seguire in quanto esseri dotati di profondità. Si tratta di una voce per lo più sommersa dalle passioni indotte dalla dipendenza dagli altri.

Secondo Rousseau la nostra salvezza morale deriva proprio dal recupero di un contatto morale autentico con noi stessi spesso sommerso dall’orgoglio (travestito da amor proprio).

L’autore articola inoltre l’idea della libertà che si autodetermina: io sono libero quando decido da solo quello che mi interessa, piuttosto che farmi plasmare da forze esterne.

La libertà che si autodetermina è un’idea che ha avuto forte potere nella vita politica e nell’opera di Rousseau. Essa assume forma politica nella nozione di un contatto sociale, fondato su una volontà generale che dà forma alla nostra volontà comune.

Quest’idea è stata una delle fonti intellettuali del totalitarismo moderno

Totalitarismo nel suo significato etimologico significa “il sistema tendente alla totalità”.

Il totalitarismo è un idealtipo usato da alcuni studiosi politici e storici per spiegare le caratteristiche di alcuni regimi nati nel XX secolo. Questi mobilitarono intere popolazioni nel nome di un’ideologia o di una nazione, accentrando il potere in un unico partito o in un gruppo ristretto.

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Autenticità e libertà che si autodetermina

È bene precisare che Taylor tiene separati i due concetti (quello di autenticità e di libertà che si autodetermina). Il filosofo chiarisce tuttavia che nel tempo questi si sono sviluppati insieme e che per questo spesso sono stati confusi.

L’autenticità secondo Taylor trova tra i suoi principali espositori Johann Herder, filosofo teologo e letterato tedesco del tardo ‘700, secondo cui ognuno di noi ha il suo modo originale di essere uomo. Herder la definisce “una propria misura”.

Quest’idea è quella che ha messo profonde radici nella modernità. Si tratta di un nuovo modo di pensare in quanto prima del tardo Settecento nessuno pensava che le differenze tra gli esseri umani avessero questo tipo di significato morale.

Esiste un certo modo di essere uomo che è il mio modo e sono chiamato a vivere la mia vita secondo questo modo e non attraverso l’imitazione di modi altrui. È quindi importante il concetto di fedeltà a se stessi per dare sostanza alla vita la quale si perderebbe se non fossi fedele a me stesso.

È questo il potente ideale morale giunto fino a noi moderni: il modello per regolare la mia vita non devo cercarlo fuori di me ma solo in me, essendo fedele alla mia originalità definisco me stesso articolandola.

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Per recuperare l’ideale morale occorre tenere presente il carattere dialogico

Per recuperare l’ideale morale dell’autenticità occorre, per Taylor, tenere presente il carattere dialogico dell’esistenza umana.

Esso rappresenta il proprio tratto generale della vita. Noi diventiamo agenti umani capaci di capire noi stessi e gli altri attraverso l’acquisizione di linguaggi umani. Questi linguaggi sono dotati di ricche capacità espressive che passano inequivocabilmente attraverso lo scambio con gli altri.

I linguaggi qui indicati si possono identificare non solo nelle parole ma anche in tutte le altre modalità d’espressione:

George Mead, filosofo, sociologo e psicologo statunitense considerato tra i padri fondatori della psicologia sociale, li chiama “altri significativi”.

Definiamo quindi la nostra identità nel dialogo con le identità che i nostri altri significativi sono disposti a riconoscerci.

Il dialogo non è quindi solo decisivo nel momento della genesi della nostra identità ma è una dimensione decisiva per tutto il corso della nostra vita. Esso rappresenta lo sfondo necessario della definizione di noi stessi e di ciò che comporta per noi.

Taylor, nel suo libro Il disagio della modernità, vuole mostrare che:

  • l’aspetto dialogico dell’essere umano è un tratto della cultura dell’autenticità;
  • e che le modalità di autorealizzazione che non tengono conto dei nostri legami con gli altri e delle esigenze che provengono dall’ esterno distruggono le condizioni necessarie per realizzare l’autenticità.

Si può riassumere dicendo che per Taylor lo sfociare dell’autenticità nell’individualismo e nel soggettivismo nega l’autenticità stessa.

L’odierna cultura dell’autenticità

L’odierna cultura dell’autenticità tende a scivolare nel relativismo morbido rafforzando un postulato soggettivistico in materia di valore.

Le cose cioè non hanno importanza di per sé, ma sono importanti per me perché io reputo che lo siano non perché l’altro lo definisce. Di conseguenza definire me stesso equivale infatti a trovare ciò che è significativo nel mio essere diverso dagli altri.

Le cose assumono importanza in uno sfondo comprensibile dall’intelletto, e ne consegue che una delle cose che non possiamo fare è negare gli orizzonti contro i quali le cose assumono un significato per noi. Questo rappresenta la mossa auto-negatrice che si effettua nella nostra civiltà oggettivistica.

Per Taylor però questo è una follia poichè l’autenticità non può essere difesa così da distruggere gli orizzonti di valore.

Deve esistere qualcosa di nobile e valoroso indipendentemente dalla volontà personale.

L’ideale dell’auto-scelta presuppone l’esistenza di altre questioni rilevanti al di là dell’auto-scelta stessa. L’uomo che cerca un senso nella vita per definire sé stesso significativamente deve muoversi entro un orizzonte di questioni importanti.

Ed ecco il dilemma:

  • non si possono quindi negare gli orizzonti entro i quali le cose assumono significato;
  • ma non si può neanche sopprimerli (tipica azione narcisistica della società soggettivista)

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Conclusioni all’articolo sull’autenticità

Quindi l’autenticità presuppone che le necessità esterne abbiano un’importanza per dare senso alla persona.

Il senso della vita lo si trova muovendosi in un orizzonte orientato di questioni. Se ci si oppone ai valori sociali senza avere degli ideali morali si va contro la cultura dell’autenticità (che li presuppone).

Questo perché non sono frutti di esperienza personale ma si costruiscono e si sperimentano NELL’esperienza personale.

E bisogna considerare che nella cultura dell’autenticità ci sia un grandissimo bisogno/esigenza di riconoscimento.

Ma per questo dovrete aspettare il prossimo articolo.

Dottor Niccolò Di Paolo

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