L’educatore di comunità minori: gestire la relazione educativa tra sfide e opportunità

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L’educatore o l’educatrice di comunità minori svolge un ruolo fondamentale nella vita dei giovani che entrano in comunità per svariate ragioni, affrontando sfide complesse legate a reati penali, fragilità familiari, povertà estrema e abusi.

Le comunità per minori differiscono tra loro per utenza e obiettivi, ma condividono la caratteristica principale del rituale quotidiano, in cui ogni attività, come cucinare o pulire, assume un significato educativo.

La relazione educativa in una comunità per minori si presenta come una sfida impegnativa e faticosa sia per gli utenti che per gli educatori, richiedendo un costante lavoro emotivo e la gestione di fantasie, angosce e costi emotivi significativi.

Un adolescente entra in comunità per svariate ragioni. Reati penali, condizioni di particolare fragilità su più fronti come disagio familiare e povertà estrema, abusi. Esistono anche comunità per minori stranieri non accompagnati.

Di conseguenza, esistono vari tipi di comunità che differenziano anche l’utenza e i macro obiettivi su cui lavorare. La caratteristica principale che accomuna tutte è il rituale quotidiano. Ogni momento della giornata, come cucinare o pulire, ha una rilevanza educativa.

La relazione educativa

L’educatore o l’educatrice professionale di comunità minori

La relazione educativa in una comunità minori risulta difficile, faticosa sia per gli utenti sia per gli educatori.

Le comunità sono luoghi che stimolano fantasie e angosce, di onnipotenza-impotenza, di immobilità e deprivazione che comportano notevoli costi emotivi.

L’educatore o l’educatrice professionale è il punto di riferimento per il giovane, è oggetto di amore-odio. Il giovane sente che l’educatore è presente lì per lui, per prendersi cura dei suoi bisogni, per sostenerlo nelle difficoltà, per educarlo cioè per aiutarlo a dare il meglio di sé, sente che l’educatore e lì non solo per lavoro ma anche perché crede in lui, crede nel suo lavoro, è motivato dai valori, sente la vicinanza dell’educatore, prova emozioni piacevoli nei suoi confronti e si lega a lui.

Gli educatori professionali spesso sono segnati dalla preoccupazione, dalla paura di non essere capaci di contenere, anche fisicamente, le spinte emotive dei ragazzi. Nel caso di educatori che si occupano di bambini la questione è meno drammatica, poiché questi operatori si vedono in grado, almeno fisicamente, di resistere agli attacchi degli ospiti.

I ragazzi

I ragazzi sono portatori di sofferenza, abbandoni, violenze di vario tipo. Esprimono forti emozioni con il comportamento e con modalità che evidenziano aggressività, ipereccitazione, silenziosità.

Il giovane si arrabbia con l’educatore poiché vuole imporgli delle regole, uno stile di vita, che servono per farlo sentire sereno in un contesto di comunità. Non sopporta quell’educatore che vuol sostituirsi a sua madre, a suo padre e pretende di fare al posto loro.

Il giovane, talvolta, odia l’educatore, non si fida di quell’adulto che fa finta di volere il suo bene e che si comporterà come gli altri adulti del suo passato (genitori, parenti, amici). Non si fida di quell’adulto che a fine turno va via, a casa sua e lo lascia con qualcun altro.

L’ educatore professionale che li segue sperimenta l’infrangersi di tali emozioni, di fantasie, di tali comportamenti nello spazio-tempo delle relazioni umani ed educative.

Occorre, infatti, che si renda conto e accetti di essere implicato nella relazione educativa con proprie emozioni, vissuti storici, fantasie, aspettative.

In tale prospettiva, il lavoro in comunità è sia lavoro con l’utente sia lavoro con se stesso.

Azioni educative dell’educatore per comunità minori

L’educatore o l’educatrice professionale può aiutare il minore a svolgere i compiti e studiare o accompagnarlo a scuola o a fare sport.

Il suo lavoro deve essere impostato sull’accoglienza e volto alla comprensione dei bisogni e delle necessità dei minori.

Affianca i bambini, i ragazzi o la famiglia nel quotidiano, coglie i dettagli e studia le dinamiche interpersonali.

Mentre insieme ai ragazzi si cucina il pasto si ha l’opportunità di ascoltare le storie personali, può chiedere della loro giornata a scuola, dei loro genitori. Si passa da preparare il pranzo e la cena, all’andare a vederli alle partite, al montare armadi durante il weekend, ad avere colloqui con i professori e guidare dei pulmini grandissimi. Si lavora per l’indipendenza dei ragazzi e per cui anche le semplici faccende di casa, o la spesa fanno parte di quelle azioni che mirano all’autonomia. Sono tutte attività che fanno parte del setting pedagogico. Si insegna il rispetto degli spazi educando a pulire quei luoghi. Quando usciranno dalla comunità, l’obiettivo è che dovranno essere autonomi.   

L’educatore o l’educatrice di comunità minori si prende cura dei ragazzi nella sua totalità: partendo dall’ascolto, dall’accudimento rivolto alla crescita fisica, alla maturazione dell’identità, ma anche alla qualificazione scolastica e professionale e a tutto il mondo familiare e relazionale che gli ruota attorno.

La comunità per i minori non è una famiglia, non è questo il suo compito. La residenzialità è il senso di familiarità dell’esperienza comunitaria, con la gestione e la cura degli spazi personali e comuni, il rispetto degli orari, la partecipazione ai momenti collettivi. Questo insieme di regole spesso provocano dei conflitti. L’educatore o l’educatrice, nella quotidianità deve assumere una consapevolezza pedagogica concreta, perché deve agire proprio nella ritualità della vita comune.

L’individualità dei ragazzi

L’intervento educativo deve basarsi sulle differenti identità dei ragazzi. Deve esserci un progetto educativo individuale (pei). Ognuno ha la sua storia personale e il bagaglio emotivo su cui bisogna prendere le misure.

L’educatore o l’educatrice di comunità minori è necessario che adotti delle azioni educative specifiche e adeguate a ognuno.

Nelle comunità educative con minori non accompagnati, ad esempio, il lavoro più cospicuo riguarda l’integrazione sociale, l’apprendimento della lingua, attaccamento al territorio attraverso l’aiuto della scuola e delle associazioni sportive.

Il gruppo rappresenta un’opportunità per i singoli di apprendimento sociale e comunicativo e di sperimentazione emozionale – affettiva. Rivalità e sostegno, competizione e cooperazione, dinamiche di esclusione e sentimento di appartenenza. Tutte situazioni verificabili che in una complessa vita comunitaria diventano materiali su cui lavorare per la crescita dei singoli.

L’importanza del lavoro d’équipe

Tutto questo è possibile grazie al lavoro d’equipe che permette la condivisione del carico lavorativo del singolo educatore o educatrice di comunità minori divenga una difficoltà di tutta l’équipe. Ostacoli che possono trasformarsi da problema in opportunità. Condividere con i colleghi è una regola base del servizio in comunità. Lo si fa attraverso il diario in cui tutti scrivono i feedback della giornata, avvenimenti particolari, le riunioni o la comunicazione aperta e onesta.

Fondamentale è il fare rete, una grande presa in carico del territorio composta da educatori, insegnanti scolastici, assistenti sociali, psicoterapeuti, associazioni sportive, famiglia.

Si costruisce un percorso personale concreto, attraverso interventi educativi mirati che agiscono sul piano della ridefinizione dell’identità soggettiva.

Un lavoro che prevede criticità

Bisogna saper gestire le frustrazioni, proprie e altrui. Spesso vi sono aggressioni verbali ed occorre essere pronti anche a quelle fisiche. Ci si trova a dover rispondere alle provocazioni in modo pacato o spesso a non rispondervi proprio.

È impegnativo anche a livelli di orari. Si lavora su turni, notturni e festivi. Con il passar del tempo, questo aspetto può rendere difficile la vita familiare e sociale. È fondamentale trovare un posto in cui l’organizzazione degli orari sia calibrata e non troppo pesante. I turni da 24 ore non sono accettabili ma in molte comunità sono presenti. Anche se la notte è considerata “passiva” l’educatore o l’educatrice di comunità minori non dorme, ma anzi ha un carico emotivo più elevato in quanto si trova in turno da solo e quindi con una responsabilità maggiore. La salute mentale degli utenti è importante tanto quanto quella degli operatori. In servizi del genere, lo stress è elevato e tenergli testa diventa una condizione basilare.

È un lavoro faticoso, ed è essenziale avere degli incontri di supervisione che aiutano gli educatori a prendere consapevolezza delle situazioni che si verificano, e saperle quindi elaborare. Sono spazi di riflessione e condivisione che danno accesso ad emozioni intense e spesso bloccate.

È un lavoro molto impegnativo ma avendolo svolto in prima persona posso permettermi di dire che ciò che ti dà l’esperienza lavorativa fatta in comunità nessun’altro servizio è in grado di dartelo.

Dott.ssa Tania Gambini, educatrice professionale

Suggerimenti di lettura in merito all’articolo sull’educatore di comunità minori

Se ti sei incusiorisito all’argomento ti suggerisco di dare un’occhiata alla nostra rubrica socio-educazione, personalmente ho scritto due articoli sul ruolo di educatore professionale e sul ruolo di assistente sociale.