Donato Bilancia è un serial killer organizzato dalla difficile classificazione: dominatore/edonista, uccide tramite arma da fuoco colpendo in diversi contesti e differenti tipologie di vittime. Conoscenti, prostitute o semplici persone qualunque, chiunque tra il 1997 e il 1998 sarebbe potuto cadere sotto i suoi colpi di pistola.
I vizi capitali di Donato Bilancia
Lussuria, cupidigia, sperpero, noia, ira, violenza, rabbia, frustrazione. Minuto ed elegante, ammira trafitto le carte: ha una mano buona, finalmente. Al Casinò di Saint Vincent o a quello di Sanremo è conosciuto come Walter, uno che scommette forte, vince e perde cifre folli. Sta in un attico da cui vede Portofino, tra gioco e prostitute dissipa i proventi di furti e rapine. Bella vita quella di Walter, non gli manca niente. Fino al tradimento. Poi la mattanza.
Diciassette individui davanti a lui ne fissano il volto, il corpo vacuo come d’aria ne ricalca i contorni mentre colori ed espressioni s’avvertono appena. Maurizio, Stela, Elisabetta, sono alcuni di loro. Questa mano la vince Walter. Il banco perde. Ama le carte ma soprattutto i dadi, coi quali scelse quei diciassette ignari dal destino già scritto.
Walter è Donato Bilancia, il più intricato, freddo e produttivo serial killer della storia d’Italia. Uccise 17 individui, uomini e donne, guidato da un micidiale ed ineffabile istinto omicida.
La famiglia di donato bilangia: UNA TIPICA FAMIGLIA ANNI ‘50
Donato Bilancia è originario di Potenza, nato il 10 luglio 1951. Figlio di Rocco Bilancia e Anna Mazzaturo, crebbe in una tipica famiglia italiana degli anni ’50: lui impiegato dell’INAIL, lei casalinga. I Bilancia si trasferirono a Genova nel 1954, città che vedrà sbocciare Donato da complesso adolescente a esperto esponente della criminalità. Emotivo e chiuso, i genitori faticarono a comprenderlo: in qualche modo lo amarono, lo crebbero.
Pipì a letto tutte le notti
Donato dimostrò problematiche di origine psicologica già a partire dall’età di cinque anni. Incontinente, bagna le lenzuola ogni notte.
A quell’età il bambino dovrebbe apprendere il controllo volontario della minzione durante la notte: nicturia o enuresi notturna, è il termine medico per qualificare “fare la pipì a letto”. Causato da una regressione nello sviluppo del pargolo, ha ragion d’essere anche in matrici fisiologiche come possedere una vescica piccola o un ritardo nell’avvertire lo stimolo. L’ingrato inconveniente perdurò nel piccolo Donato fino all’età di dieci anni con cadenza giornaliera.
Triade di Mac Donald
Enuresi notturna, piromania e violenza contro gli animali compongono la triade di Mac Donald. Comportamenti o attitudini che in epoche passate si definivano predittivi di un serial killer.
Come in scritti precedenti, tra virgolette sono riportate le dichiarazioni del reo, del Magistrato Enrico Zucca e altre di numerosi testimoni chiamati a processo.
“I miei pensavano lo facessi apposta. Mamma usava mettere il materasso bagnato sul balcone cosicchè tutti i dirimpettai potessero vederlo e deridermi. Pensi, (si rivolge all’interlocutore), a volte mi svegliavo di notte, mi accorgevo di avere fatto pipì e cercavo di asciugarlo col calore del corpo di modo che al mattino mamma non potesse accorgersene e procedesse all’esposizione del materasso”.
il passato di donato bilancia: i MALTRATTAMENTI PSICOLOGICI
L’evoluzione di Donato è quella di un ragazzo deriso, sminuito, vittima del comportamento decisamente vessatorio dei familiari. Posto di continuo al pubblico ludibrio, pare essere oggetto di quelle terribili modalità pedagogiche che ricamavano sul concetto “buttalo nella mischia almeno si sveglia”.
Durante un colloquio con il professor Andreoli, incaricato della consulenza psichiatrica da Bilancia stesso in secondo grado, emerse una vicenda agghiacciante.
Nudo sul lettino
A sette anni, la famiglia Bilancia andò in visita alla zia nella città di Potenza. Essa aveva tre figlie che, a dire del killer erano “veramente brutte”. Ogni sera, papà Rocco conduceva le tre cugine in una stanzetta in cui imbastiva uno stesso grottesco teatrino. L’odiosa performance consisteva nel porre Donato sul lettino, sfilargli forzatamente gli slip, deriderne li pube glabro e intirizzito. Commenti ironici e tanti sghignazzi.
“In quel momento mi attorcigliavo sul letto morto di vergogna”.
Donato Bilancia: I primi disturbi comportamentali
I primi disturbi comportamentali s’appalesarono come sentenza annunciata: assenti in lui sindromi di tipo dissociativo, depressive o schizofreniche-paranoidi. Rilevano invece un profondo isolamento affettivo e una scarsa comprensione di ciò che accade sul piano emotivo. Bilancia cresce come un pervertito “polimorfo” ossia caratterizzato da diversi aspetti perversi come la tendenza a una sessualità scotofilica, ossia voyeuristica.
Quanto appena riportato, fortemente edulcorato da tecnicismi, è ripreso dalla perizia tecnica redatta dai Dott. Rossi e De Fazio, incaricati dal P.M. Zucca in fase di indagini preliminari.
DONATO Bilancia DIVENTA WALTER: LADRO E RAPINATORE
Donato accettò la sua condizione d’origine fino all’età di quattordici anni, nel 1965, quando impose a sé stesso e agli affetti più cari un radicale cambiamento. Insorse un inarrestabile moto di ribellione, una spinta di anarchica e spregiudicata affermazione giovanile che traghettò quel giovane individuo, abituato al provinciale anonimato, verso un presente da malandrino e opportunista.
“Cattivo ragazzo” sfiorito dall’acre seme della frustrazione che si fece chiamare Walter: ladrone e rapinatore, disinteressato alle regole e più furbo del prossimo. Anestetizzato al mondo circostante, privo di legami significativi, Walter pescò nella società a mo di salvadanaio. Lui non è un ladro qualsiasi o lo spiantato che tira a campare: è un professionista; casseforti, sistemi di sicurezza e allarmi sono tutti alla sua portata. Ruba solo a chi ha già ed è generoso con il prossimo.
S’apre e chiude quel carcere che prima o poi lo tratterrà fino alla morte: doti da arraffone lo avvicinano a donne, soldi, ricchezza, bella vita e agi.
Placido il verme s’annida tra le molli pieghe di terra e sterco. Sfilando rapido tra perigli e morte, tosto muta con mimesi astratta. S’erge ora, il mortifero lepidottero dall’ali piegate d’amore perverso.
Il fratello morto suicida sotto un treno
Statisticamente, alcuni vissuti presentano episodi cardine fatti di eventi traumatici atti a spandere spore di timido putrido polline intriso d’astio e incongruenza. Un evento poco conosciuto ma che lui stesso riconobbe come centrale nella sua vita riguardò il fratello: irreperibile la documentazione medica che lo avrebbe meglio definito.
Suicida. Gettato sotto a un treno col figlio di quattro anni in braccio. Si disse in conseguenza al tradimento della moglie. Il treno… tradimento. Donne.
Donato Bilancia: SOLITUDINE DA SERIAL KILLER
Donato Bilancia diventò uomo manifestando, meglio dire praticando, una personalità plasmata secondo frustrazione, diretta al soddisfacimento di necessità e obiettivi. Si faceva chiamare Walter, uomo elegante, a modo e ben vestito. Sue una Mercedes, una Y10, una vespa e un invidiabile conto in banca.
Professione ufficiale commerciante, ufficiosa ladro, possedeva un negozio di intimo in piazza Marsala a Genova. Non è violento: rifugge il confronto fisico.
Piacevole ma solo, evitava la vita sociale:
“a pranzo sei solo, la sera a letto sei solo. E’ atroce, davvero. Ero uno che a farsi notare doveva darsi fuoco. Trattavo le persone di merda perché forse era la mia rivincita a stare male ed essere solo come un cane rognoso”.
Gioco d’azzardo, denaro, sesso e prostituzione saranno tematiche centralissime nella vita di Bilancia prima e durante il periodo degli omicidi. Cupidigia, lussuria senza tralasciare la noia: essa tinse ogni suo istante come il manto lieve delle prime ore di neve.
“Quando vivevo i miei momenti di frustrazione avevo un solo modo per vincerli: mi premiavo, andavo a puttane o al casinò. Giocavo, giocavo, giocavo. E come tutti i giocatori ero un perdente. Avevo un appartamento stupendo, terrazza vista mare, da una parte Portofino dall’altra La Spezia. Me lo sono giocato…pufff…in una sera. Se mia avessero chiesto se fossi contento della mia vita avrei risposto: no. Mi detestavo.”
Sindrome di Pollicino
Le inadeguatezze circoscritte alla sfera sessuale erano avvertite dal Bilancia come declassificanti e vergognose. A tali stigmi fecero eco, anni dopo, testimonianze rilasciate dai conoscenti durante il processo di primo grado descriventi una sorta di sottosviluppo all’organo genitale. Qualcosa, un handicap dal difficile profilo esistenziale e relazionale, la cui gravità era accusata con patimento dal Bilancia.
A tal proposito vale anticipare la dinamica che emerse durante la preparazione del processo d’appello, consulente di parte fu il professor Andreoli. Chiamato per corroborare una traballante tesi di infermità mentale, colloquiò con il condannato, il quale tirò giù le braghe mostrando gli arti inferiori. Piccoli e rinsecchiti, parvero non essersi sviluppati adeguatamente: definita “sindrome di Pollicino”, era una sorta di atrofia agli arti inferiori che non risparmiò il membro.
L’assassino ne attribuì la responsabilità agli eventi di Potenza i quali, a suoi dire, avrebbero provocato il deficit. Tesi infondata, si vide confutata da ben più probabili fattori ereditari o patologie intervenute.
UNA MASCHERA BEN DIPINTA E CONFEZIONATA
Giunti alle soglie dei suoi 46 anni, troviamo un Walter coccolato dai suoi agi. Ruba, gioca, scommette. Fuma assai e trova sempre il tempo per intrattenersi con partner o prostitute. Nonostante tutto, se la passa bene: fa ciò che vuole, vive nella piena illegalità, mostra una maschera ben dipinta e confezionata. Lontano dai guai perché non li cerca: studia bene il contesto, schiva gentaglia peggio di lui e nel caso sa fuggire veloce. Non possiede armi e tralascia la violenza.
Walter saluta e chiacchiera pur rimanendo sempre in disparte. Nel suo traballante, fittizio presente tutto pare incastrarsi.
“Abitavo in un residence dove ricevevo donne da copertina, fumavo, giocavo e dormivo. Insomma, tutto andava bene, fino al giorno del tradimento del mio amico fraterno Maurizio, l’ennesimo e più inaspettato”.
TRADITO
Amico fraterno. Il rapporto con Maurizio Parenti è dal killer avvertito come importante e sincero: furono compagni di serate invece, soci di giocate in bisca. Triviali momenti di fallimenti e speranze buttati al fumo dalla mano sbagliata, legarono due estranei avvicinati da un puerile sodalizio d’inganni. Maurizio Parenti, sposo novello di Carla Scotto, ebbe tra i suoi radar Giorgio Centanaro.
Maurizio Parenti
Gestore di una bisca clandestina, Centanaro andò in pensione a 39 anni fidanzandosi al gioco. Parenti condusse il Bilancia alla bisca in accordo col Centanaro, certo di spennarlo a dovere: in poche serate il malandrino vide sfumare metà del suo patrimonio. Quattro catastrofiche sedute buttarono l’uomo, ignaro degli interessi dell’amico nell’affare, nello sconforto più totale.
“In quell’epoca possedevo quasi un miliardo di lire in contati suddiviso in 300-400 milioni in banca in Svizzera, 400 su venti conti a Genova e 300 in orologi, brillanti, auto.”
Era l’estate del 1997.
Alla bisca di Centanaro
Tra il tavolo e la toilette solo pochi metri. Staccare un attimo gli avrebbe fatto bene; ancor meglio, una scappata al bagno….. L’anta da saloon rinculò quel tanto da staccarlo dalla foga del gioco. Una latrina coi fiocchi quella, non era mica in un localaccio qualsiasi. Gli parve per un attimo di essere finito in una vera casa da gioco, non di una bisca illegale a Bolzaneto: bancone in mogano lucidissimo, un buon profumo di pino silvestre mischiato a fumo e sudore rancido. Bicchieri qua e là, camerieri solerti. L’aria però grondava d’inerte disperazione. Un ateo credo divinato dall’aruspice distratto che ubriaco e divertito concede scelta ai putti paffuti di iella e fortuna. Quel posto sapeva di fallimento.
Concentrato sulla minzione, Walter avvertì l’avvicinarsi di un vociare inebriato di cui riconobbe la voce di Maurizio: “hai visto il pollo come sono riuscito ad agganciarlo e a portarlo qui da noi? Bilancia, davanti al magistrato, la ripete in genovese “hai visto l’oagganciò a ti gra di e cossè ghe feu a sto chi piripum piripam”.
“Se avessi avuto un’arma sicuramente li avrei uccisi in quel momento. E invece incassai il colpo e andai via, senza neanche più giocare”.
Autore si, vittima no
Tradimento inaspettato e prevedibile, scivolò inavvertito tramortendo il giocatore che da preda di furti e inganni, ritrovò sé stesso sul fronte opposto. Quale latore di sotterfugi, avvertì il gravoso peso d’incertezza e menzogne sulle sue stesse spalle e non tra le sue mani.
E’ brutto stare dall’altra parte Walter, così brutto che il bambino ferito dal suo stesso verbo ora chiede vendetta. Autore si, vittima no.
QUASI FOSSE UN GIOCO A DADI, FU PROPRIO IL CASO AD ASSECONDARE LE SCELTE DELLA SUA VITA.
Giugno 1997, Casinò di Sanremo: gioca, gioca, gioca. Un disperato sbattè la testa sul liscio bordo legnoso. In tasca ha una Smith & Wesson calibro 38 come ultimo avere. Perse tutto ma non la voglia di affondare ancora un po’. Perché non scambiare quel pezzo di artiglieria per una manciata di fiches? Una posta che gli concederà proprio Bilancia, per il ferro e 50 proiettili finlandesi Lapua Patria.
Mauro Barbagli scrisse che l’occasione fa l’uomo ladro, autori d’ogni dove sottolinearono il nesso di causalità tra disponibilità delle armi da fuoco e incremento di delitti contro la persona. Stati come la Norvegia e l’Islanda presero provvedimenti non dotando le forze dell’ordine di tali strumenti. Negli Stati Uniti, il dibattito sulla libera vendita imperversa da decenni.
La condizione iniziale era cambiata radicalmente
Tracciando l’evoluzione o mutazione degli accadimenti è facile rintracciare i punti nevralgici della criminogenesi.
Un uomo sconfitto e falso, delinquente per scelta, visse nella instabile convinzione che l’acredine ipertrofico, il vizio, l’incuria di cui era pervaso non avesse a renderlo ancora più abietto. Mai intraprese un cammino volto ad abbandonare la via criminale. Avrebbe potuto piantarla lì e darsi a una vita moralmente ed eticamente accettabile: migliorare. Perché peggiorare?
Giorgio Centanaro
L’OMICIDIO CENTANARO
Ho visto Genova di notte. Il sole del vespro rimbalza caldo su palazzi verticali: cortili d’onore e logge d’un grigio rinascimento s’incastrano tra terrazzi d’antiche casate. Il sole vi scivola mischiandosi a sale, basilico e all’immancabile “belin!”. Pavè liscio come olio d’oliva taggiasca fa da palco ai folklori dei carrugi, rumorosi e imprevedibili. Portuali, turisti, “zenesi”: chi calpesta quelle strade s’ode a distanza; il silenzio è raro.
Luce giallina che illumina a stento. Donato lo ha seguito per giorni, fino a tracciarne le abitudini: Giorgio Centanaro è sulla soglia di casa quando viene preso alle spalle:
“Vieni, adesso giochiamo un po’ io e te!”.
Un’immota vertigine pervade quegli angusti ballatoi bianchi che freddi traghettano il biscazziere verso il capestro. Dal soggiorno alla vendetta solo pochi istanti:
“l’ho legato come un salame dalla testa ai piedi, mentre era disteso lì per terra, poi con il nastro ho coperto anche la bocca e il naso e intanto gli spiegavo perché lo stavo facendo. L’ho fatto soffrire molto. Ho ultimato il soffocamento e ho sentito la sua vita fuggire con un’ultima tensione del corpo. Poi non so se per caso, gli è venuto un infarto per la paura, visto che si è pure pisciato addosso. Alla fine, mi sono accertato che fosse morto dandogli un colpo lì, nei testicoli. Nessuna reazione.”
Giorgio Centanaro è la prima vittima di Donato Bilancia: creduta morte naturale, sarà lo stesso Bilancia a chiarirne la dinamica. Era il 16 ottobre 1997.
La casa del boia
La ritorsione su Maurizio Parenti e Carla Scotto
“La casa del boia”. Esiste un luogo a Genova in cui, nel medioevo, debitori, insolventi e giocatori delle baratterie, trovarono la morte per mano appunto, del boia. In pietra bianca calcarea, tozzi mattoni massicci le danno l’aspetto di una gattabuia posta nei pressi del porto, su via Cavour. Per intenderci, Paolo Villaggio passando da lì avrebbe esclamato: “com’è umano lei!”.
Maurizio Parenti costeggia ogni sera quel luogo, anche il 24 ottobre 1997.
Carla Scotto
Quei soliti accecanti fanali gli si fanno incontro, molto lentamente, così che piccini si fecero grandi. Il clacson avvertì l’uomo che subito riconobbe Walter nella sua auto blu. Un grattare gutturale ciarla dal finestrino mentre un paio di manette attendono impazienti, l’arma nei pantaloni: una scusa e l’uomo si avvicina. Walter e Maurizio sono una davanti l’altro, fuori dalla vettura: a dividerli la Smith and Wesson e una stretta alla gola. Da inatteso incontro notturno, l’evento manifesta l’intento di ferale rivalsa: il trucco è svelato, Walter conosce il magheggio dei soci e vuol dire la sua. Ha un’arma e sostiene che la moglie di Maurizio, Carla, si trovi nelle mani di fittizi amici pericolosi, su in casa. Allora i due salirono nell’appartamento della coppia…
“Gli ho dato un giro di nastro ai polsi e poi ho tirato giù una striscia per dare un giro anche ai piedi.”
“Gli spiego perché sta succedendo questa storia e mentre lui si agita un po’ gli ho dato qualche colpo con il calcio della pistola sulla mascella sinistra. Lei è sempre terrorizzata, lei è qui che non capisce cosa sta succedendo. Io gli ho sparato a lei nel petto, quando ho sparato il primo colpo sentivo che si lamentava, faceva “Ah Ah”, così allora gliene ho tirato un altro perché pensavo stesse soffrendo”.
La domestica arrivò di buon mattino: Maurizio nella stanza da letto era avvolto nel nastro adesivo, steso sul materasso con la testa rivolta verso i piedi del letto. Un colpo in testa, il sangue coagulato sulla tempia. Non vide Carla, seminascosta tra il giaciglio e la parete con la testa vicino alle gambe di Maurizio.
I coniugi Parenti uccisi da Bilancia
Erano una bella coppia, giovani e sorridenti sono ritratti nelle foto che sfilano proprio sopra al letto come immagine tombale. Assieme alla loro vita, sparirono 13 milioni di lire e alcuni preziosi.
Donato Bilancia, il serial killer, sbocciò in quel momento. Da assassino a serial killer il passo fu brevissimo, così breve da sembrare naturale.
Conclusioni al primo articolo su Donato Bilancia
Si conclude qui la prima parte di “Donato Bilancia: ho voglia di uccidere”.
La seconda parte è dedicata alla memoria delle vittime del serial killer. Clicca qui per leggerla.
La terza parte, invece, si focalizza sul processo e sulla classificazione criminologica a posteriori (edonista dominatore). L’articolo si chiama proprio così: Donato Bilancia, l’edonista dominatore
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