Milena Quaglini, serial killer, è una donna nata, educata e cresciuta con il verbo e il nerbo dell’uomo violento.
In una vicenda, il prologo conduce sovente il lettore alla comprensione dell’intero intreccio d’eventi: assai arduo risulta altrimenti intuirla nella sua completezza.
La vita di Milena Quaglini

Milena Quaglini cresce tra impenetrabili mura che celano deplorevoli abusi, pareti intonacate d’odio e denigrazione che occultano come un sipario scarlatto una tragedia da tanti narrata. Il trapasso del protagonista suole essere la consueta chiusa dell’opera tragica ma solo raramente è possibile apprezzarne la trasmutazione in antieroe, in risoluto e micidiale cerbero flagellatore.
Di grottesche angherie, Milena Quaglini fece incetta per tutta la vita. Ghermita dall’abuso, soffocata, non scelse mai una via di fuga lecita: così, ormai corrosa fino agli intestini, scelse la via del male, la via dell’omicidio seriale: lei rinacque come serial killer.
L’operato della donna condurrà alla morte uomini eufemisticamente “poco raccomandabili”, individui di cui la società potrà fare a meno.

Milena Quaglini: il cattivo esempio di un padre violento e bevitore
Milena Quaglini nasce a Mezzanino Po’, un paesello in provincia di Pavia, non lontano dalla residenza di chi vi scrive. Un padre violento e forte bevitore la cresce a forti schiaffi, insulti e imprecazioni; sminuisce moglie e figlia, equamente.
La madre è remissiva e succube, subisce senza opporre resistenza alcuna, trasmettendo alla figlia un costrutto mentale preciso e letale. Milena ubbidisce, per molto tempo ripete gli stessi errori della madre. Fino a un certo punto.

L’uomo buono e la di lui morte
Allontanatasi da quel nido infausto, la giovane sposerà un “uomo buono” molto più vecchio di lei: un legame profondo, fatto d’amore e rispetto.
Insatura d’amore e gaudio, una tragedia vede scaturirsi eventi incontrollabili: afflitto da un male fulminante, l’”uomo buono” perirà dieci anni dopo. La moglie precipiterà frettolosamente in triste mondo distorto, annaspando tra i flutti dell’alcool.
Un sipario s’apre, il prologo tace e si spengono le luci.

Ha inizio l’atto primo.
Alla morte del marito, Milena aveva appena sfiorato quel rigagnolo di normalità comune a molti, un foulard di seta morbida tra il padre e gli altri orchi presso i quali cercherà rifugio e affetto.
Il secondo (tragico) matrimonio di Milena Quaglini
Uno di essi sarà Mario Fogli, sua seconda vittima: “sopportavo, sopportavo finchè qualcosa di intollerabile mi faceva esplodere e allora quando mi scattava quella reazione dentro non riuscivo più a fermarmi fino a quando non respiravano più”.
E’ il 1989 quando incontra colui che diverrà il suo secondo marito, Mario Fogli. Un uomo avvezzo al bere, proprio come il padre, manesco e geloso fino all’esasperazione.
Estirperà dalla minuta ed esile donna ogni relazione sociale perché “se le donne lavorano è facile tradiscano i mariti”.
Le vieta la pittura, suo unico vezzo e passatempo. Un matrimonio fatto di botte ed esasperazione durante il quale Milena beve e prende antidepressivi, arrivando a tentare il suicidio.
“Scarto d’uomo dovea sembrare, rifiuto d’amore le avea donato. Quel dì, da rifiuto fu agghindato e celato all’altrui sguardo”.

la prima vittima
Carico di simbologia fu la morte del Fogli: sarà trovato un giorno di agosto del 1998, all’età di 52 anni, avvolto in sacchi neri e nascosto da un tappeto, sul balcone della casa coniugale. Ai rilievi penseranno dagli agenti di polizia di Broni, chiamati da ella stessa.
La notte precedente, mentre il marito dormiva, Milena lo incapretta con un avanzo di corda delle tapparelle e, dopo una breve colluttazione, lo strangola. Dai rilievi sono individuati alcuni tagli sulla gola: probabilmente la moglie tentò di tagliare la corda stretta sul collo del marito.
Di fronte agli agenti sosterrà che non voleva ucciderlo ma solo dargli una lezione: Milena piange e si difende in aula ma viene condannata a quattordici anni di reclusione, ridotti a sei per semi infermità mentale. Mario Fogli non è però la prima vittima: “subivo, subivo, subivo, fino a quando non ce la facevo più”.
Qualcosa, un bagliore, si arrampica dal basso ventre strisciando e invadendone le membra: l’omicidio porta un effluvio di libertà e Milena è padrona della sua vita.
Finalmente.
Questo angelo vendicatore dal viso delicato e l’animo tumido di lividi, trafitto e fratturato, non si sentirà mai un’assassina perché “loro se lo meritavano”, l’avevano aggredita.

La seconda (prima) vittima
L’atto secondo s’apre con un flashback: Giusto Della Pozza, l’uomo cui lei fece da badante in un breve periodo di separazione dal Fogli, viene trovato nel 1995 agonizzante sul pavimento di casa.
Milena lo colpì in testa in seguito a un tentativo di approccio sessuale forzato: chiamerà quindi un’ambulanza dichiarando di averlo trovato così. Dalla Pozza morirà in ospedale dopo alcuni giorni e l’evento sarà archiviato come accidentale.
Questa prima reazione deve esserle parsa che una boccata d’aria ritemprante. Corroborante. Il dolce effluvio della libertà pervaderà narici, mente e corpo accompagnandola a un desiderarlo nuovamente. Uccidere le piace. Uccidere la libera dai suoi aguzzini.
L’evento riguardante Della Pozza sarà dichiarato eccesso di legittima difesa ma Mario Fogli è ucciso dopo una, seppur breve, pianificazione. In lei, quel barlume marcescente, aveva già pervaso l’intero corpo, come un parassita che anela il potere.
Emessa la sentenza, la donna attende l’esito della Cassazione agli arresti domiciliari. Prima in terapia per disintossicarsi, poi a casa. Quale casa? Ha perso tutto. Cerca e trova un annuncio sul giornale che fa al caso suo:

Sipario: si apre il terzo atto
Angelo Porrello è un tornitore di Bascapè e cerca una convivente con cui dividere l’appartamento. Ciò che Porrello non può riportare tra le righe è un dato visceralmente riprovevole: la condanna a sei anni per abuso sessuale su minore, sulle figlie. Milena si trasferisce proprio da lui. Come andrà a finire il terzo atto è storia scritta. Pranzo a base di pasta col sugo, richiesta di prestazione sessuale, rifiuto, “schiaffi in faccia”, stupro.
Milena aspetta. Scioglie un blister di compresse nel suo caffè e attende; una volta svenuto lo deposita nella vasca da bagno ricolma d’acqua e attende nuovamente. Tornerà dopo poco, trovandolo immerso nel vomito e nelle sue stesse feci, defunto. Lo definirà un “individuo stomachevole”, “un porco” e un porco sta bene in una concimaia.
Lo deposita in una vasca di letame, lasciandolo putrefare. “Avea vissuto come sterco e di sterco s’è fatto un tutt’uno”. Porrello sparisce il 6 ottobre 1999 e le indagini hanno inizio.
Le Forze dell’Ordine raccolgono parecchi indizi nell’abitazione, soprattutto è ritrovato un cadavere in avanzato stato di decomposizione il 24 ottobre, irriconoscibile. Tra gli averi del de cuius appaiono alcune lettere, redatte ad opera di una persona già nota alle autorità: Milena Quaglini.
La donna, ai domiciliari presso l’abitazione del Porrello, fu trovata per ben due volte vagare ubriaca in violazione dei domiciliari. Il suo comportamento la riconduce, il 7 ottobre, presso la casa circondariale di Vigevano ed è da quelle mura che scrive al Porrello, già sparito, per crearsi un alibi.
Milena è smaliziata, ormai conosce la giustizia e sa come muoversi. Viene interrogata e nega ogni coinvolgimento: le prove però la inchiodano. La Regata bianca su cui viene fermata la prima volta è del Porrello; capelli e blister sono fatti risalire a lei.

La confessione di Milena Quaglini
Confessa. Tutto. Trasuda l’elegante disinvoltura di un’assassina compassata, navigata. Trasuda padronanza.
Atto conclusivo, il quarto atto.
Una tragedia che si rispetti termina con la morte del protagonista.Consapevole e distrutta, Milena, ricondotta in cella scriverà una lettera: “non ho più niente”. Strappa un lenzuolo e ne fa una corda, si appende al gancio del suo armadietto e si toglie la vita. Uccidendo i suoi aguzzini aveva già ucciso sè stessa, o forse furono loro a toglierle la vita, molti anni prima.
Il mondo interiore di chi vive nella violenza è modellato sulla violenza. Che il male marcì, mortale, ogni fulgida parvenza e del feral terrore d’odio e acredine che su d’essa s’accanì trasse alla luce disgraziata figlia del negato amore.
Prologo all’articolo su Milena Quaglini
I serial killer di sesso femminile hanno peculiarità uniche: le vedove nere si accaniscono sui partner prevalentemente per motivi economici, ne occultano i cadaveri o inscenano morti naturali. Gli angeli della morte estirpano la vita nelle loro anziane vittime per porre fine ai loro patimenti.
Milena non è semplicemente una vedova nera, è un’edonista/dominatrice. Sfocia nel piacere, un piacere legato a dominio e affermazione. Un piacere nato in una mente plasmata tra violenze e delitti, non dissimile alla serial killer Aileen Wuornos.

Dottor Mattia Curti, criminologo
Dottor Mattia Curti
Se ti sei incuriosito durante questa lettura, ti consiglio di seguire la mia rubrica “Monografie Seriali” dove parlo di Serial Killer Italiani.
Qui di seguito ne trovi alcuni
Buona lettura!