Simone Cassandra è un serial killer visionario organizzato atipico dalle composite peculiarità. Conosciuto come il mostro di Norma, era rinomato come “il matto del paese”: un personaggio folcloristico, impratichito grazie alla piccola criminalità “rurale” è passato inaspettatamente ad orchestrare scioccanti delitti premeditati.

Le valutazioni di seguito mirano ad evidenziare l’indole disturbata di un ragazzo la cui violenza, sebbene drammaticamente risoluta e micidiale, muova da presupposti assai discutibili. Realtà, fantasia, percezione del pericolo, fino alla distinzione del bene dal male, slittano sui percorsi impervi dell’incerto fervore di Simone Cassandra.

Simone Cassandra: Il ragazzo dai tanti nomi
Norma, provincia di Latina. Accanto ai resti dell’antica Norba svetta strategico il borgo custode dell’Agro Pontino. Srotola vicoli e tappeti di roccia, nasconde l’oasi di Ninfa tra colli e conche dei monti Lepini. Strettoie ingrassano nei vialoni del centro, talvolta offrono riparo da un pilota incosciente. “Guarda quello! Va come un matto” avremmo detto.

I normiciani erano avvezzi a tale eventualità, tanto abituati da non badare al passare di Simone Cassandra. Pilota sconsiderato di un mezzo a due ruote era descritto come un tipo irrequieto dal carattere scontroso. Velocità, abbigliamento in pelle e sguardo truce generavano un personaggio folcloristico, guazzabuglio di stranezze e nomenclature come “o matto”, “demonio”, “cinghialone”, “Rambo”.
Molto peculiare il giovane, forse tocco ma non cattivo. Per tutti era “il matto del paese”.

Simone Cassandra aveva 22 anni nel 1995. Servizio militare in aeronautica, ospite saltuario di un centro di igiene mentale, lavorava come fabbro assieme al padre Enzo. Residente in una abitazione nascosta tra lecci e querce, possedeva la moto e un’auto azzurra arrugginita. Grazie alle singolari attitudini vantava quella popolarità priorità dei personaggi eccentrici; bislacco e spericolato, esercitava una certa attrattiva soprattutto sugli imberbi giovanotti.
Ladro di polli
Simone, Cinghialone, era un ladro di polli. Non per modo di dire. Simone rubava veramente i polli ai “burini” della zona, spalleggiato dal picciotto Emanuele Giordano, per conto di Francesco Belmonte. Compare e contadino di 63 anni, Belmonte dava 15.000 lire a furto al ragazzotto. Ladrocinio d’alta classe, mettevano a segno un colpaccio da 150 galline proprio nel giugno 1995.

Furto a casa del ladro
Neanche a trovarsi in una commedia di Totò, al contadino sparivano i polli. Qualcuno aveva rubato a casa del ladro. Simone, unico a conoscenza del cospicuo ratto fu subito oggetto di sospetti e funeste ire del mandante. Inevitabile, il confronto era proscenio di urlacci e inconsistenti minacce:
“Io ti ammazzo! Mi hai rubato i polli e io ti ammazzo”.
Ciò che è iniziato come una schermaglia alla Fernandel e Gino Cervi sdrucciola inerme dentro un fitta foiba di luce priva, cieca ed enfia d’incedere folle. S’apre nella suburra chiassosa di raziocinio manchevole un kafkiano incastro d’eventi: ladro di polli, furente alienato dai modi accosti a felliniano ingegno, perse il senno.
Il matto dava di matto.
Che la giovane mente fosse orientata al discinto arguire appare perplesso, giudizio e criterio tentennano d’un dubbio discernere sebbene attento e micidiale.

Simone Cassandra: l’omicidio belmonte
17 luglio 1995. C’è una rosticceria, a Latina, interessata ad acquistare i polli. Sotto egida del ragazzo, il contadino intraprende il viaggio la cui conclusione consta in una fermata fuori Norma. In una baracca li attende infatti una donna desiderosa di fare l’amore.

Sgravati accordi e affari, Simone Cassandra guida il burino alla catapecchia: sospinge, lo incalza al suo interno fino ad una spranga nascosta. Alle spalle, Simone vibra un colpo che ne fracassa il cranio. Spacca, picchia finchè l’uomo esala l’ultimo respiro. Carica, quindi conduce la salma al pozzo naturale visibile all’esterno; là ne getta il corpo che rimbalza flaccido tra rocce e spigoli nel buio crescente, fino a scomparire.

Il sicario inesistente
Quanto accaduto frattura, strapazza quella gracile psiche fino all’aurora d’una paranoia latente. L’atto strappa il recondito palese disagio che sempre lo accompagna.
Cinestetico squilibrio vezzeggiato d’improprio lemma, Simone “o matto” vede in Franco Giordano il suo aguzzino. Un assassino, inesistente sicario assoldato da Belmonte per ucciderlo. Il ragazzo ha solo 17 anni e porta una parentela atta ad acuire ulteriormente i turbamenti del Cassandra. Franco Giordano è infatti fratello di Emanuele Giordano: testimone di misfatti e intrighi, braccio destro, mozzo di Cassandra nei suoi giri d’affari.

Franco accresce inoltre i timori del killer ammettendo d’averlo visto con la vittima poco prima dell’omicidio. Due fratelli che, disgraziati, cadono vittima d’un simposio anomico orientato alla distruzione: famiglia poverissima, minuscola casetta senza telefono, fratello minore senza una gamba.
Questi sono i Giordano.
Simone Cassandra: l’omicidio giordano
29 luglio 1995. C’è un termosifone nella baracca. Simone Cassandra sostiene funzioni male e chiede aiuto al ragazzo. Franco ha 17 anni e non teme l’amico svitato. Parte da Sermoneta, sua dimora e raggiunge Simone. Valuta subito il calorifero, lo vede malridotto e si allunga verso una chiave inglese. Di nuovo la spranga ne divelte il cranio, il pozzo accoglie le spoglie assieme a quelle del Belmonte.
Ora Simone è un serial killer. Organizzato e visionario, per tutti è “il matto”, quello strano che nessuno collega alle sparizioni.

I bambini lo sanno
Svegli, sagaci, attenti ai particolari i bambini. Ammaliati dall’impavido Simone, conoscono segreti che nessuno conosce.
Edoardo Novata ferma Simone al crepuscolo del 27 agosto, nella piazza del paese:
“Tu sicuramente sai qualcosa di Belmonte e Giordano. Ti hanno visto con loro. Mi sa che finisci in carcere”.
“Stai zitto tu, stai zitto. Altrimenti finisci male.”

Simone Cassandra: l’omicidio novata
Domenica 27 agosto 1995. Sono le 21, Edo e Simone conversano vicino ad un tabaccaio, sotto gli occhi di tutti. Simone fa salire in auto il bambino, qualcuno li vede:
“Andiamo a rubare i tubi”
Il piccolo accetta.
“Dovevo ucciderlo, se non lo uccidevo andava dai Carabinieri. L’ho portato vicino a certi tubi e lui ha cominciato a svitare e io l’ho colpito da dietro”.
Edoardo muore con la testa fracassata. Finisce in un altro pozzo, uno più stretto, più profondo. Trova dimore presso la melma che giace sul fondale, sprofonda, solo ma non dimenticato.

partono le ricerche
Sparisce poco dopo le 21, l’allarme si ha solo verso mezzanotte. Il signor Novata tarda a preoccuparsi perchè caldo e brezza notturna conciliano tempi più lenti.
Anna incontra Simone Cassandra
Partono le ricerche e Anna, sorella di Edo, percorre il belvedere assieme al fidanzato. D’un tratto, incontra Simone.
“Erano circa le 22,30. Gli chiesi: ‘ Hai visto mica Edoardo?’. Lui rispose di sì, che lo aveva visto avviarsi fuori del paese con due amichetti. E sorrise. In un modo diverso dal solito, però. ‘ Ma guarda che sorriso strano ha stasera Simone’, dissi al mio fidanzato”.
Gli amichetti del ragazzo ricostruiscono gli ultimi momenti del piccolo: l’ultimo a vedere la vittima è stato Simone Cassandra. Il demonio.
Inciampa Anna, corre da Simone pestando ghiande, sfregando le gambe nude contro i bassi arbusti dei colli che contornano Norma. Suona, chiama dal cancello che delimita l’abitazione dei Cassandra. Enzo, padre di Simone, l’accoglie con la rudezza di chi non vuole scocciature e caccia la donna senza troppe cerimonie.

Incontri e racconti
Martedì 29 agosto 1995. Giorno di svolta. Simone intende incontrare sia Emanuele Giordano, fratello di Franco, che un amico finanziere di stanza in Sicilia.

Evoluzione e movente conducono a ritenere Emanuele prossima vittima prescelta, considerazioni da ritenersi vuote speculazioni visto l’inatteso evolversi degli eventi. Emanuele sarà costretto a casa per un guasto al motorino mancando l’appuntamento.
L’amico finanziere è invece testimone di un racconto strampalato:
“Sono finito in una storia pericolosa. Un traffico d’armi, ho fatto fuori due persone. Adesso sto bene e in paese non mi prendono più in giro”.
Velatamente, il killer omette il delitto di Edoardo.
Tanto bizzarro quanto sospetto, il racconto suscita le preoccupazioni dell’uomo che subito affronta il pozzo incriminato. Impedito dall’assenza di luce, intravede solo alcune rocce ma riporta l’evento ai Carabinieri.
Mercoledì 30 agosto 1995 – la confessione
Simone Cassandra, ultimo ad avere visto Edoardo, è sentito come persona informata dei fatti. Un interrogatorio sempre più serrato incalza il giovane che tradisce incertezza.
Mitragliato da incessanti domande, confessa alle 18,30.

Simone sbobina trama, cause e convinzioni esaurendo ogni particolare dei primi due delitti ma tentenna sull’ultimo. Brucia quella morte violenta commessa a spese di un bambino; Simone Cassandra sembra comprenderne la gravità nonostante trasmetta la profonda credenza che piccolo rappresentasse un pericolo.
“Ho fatto una cosa brutta, molto brutta. Mi spiace solo per quel bambino. Per gli altri no, volevano uccidermi”.
Tra mercoledì notte e giovedì mattina, Cassandra conduce gli inquirenti presso i due pozzi in cui ha depositato i cadaveri. Fermo resta lo sguardo sul corpo di Edoardo Novata. Gli occhi neri come grumi, le braccia girate in modo innaturale sono spezzate in un piccolo corpo avvolto dal fango.
Ora lo chiamano assassino
Quel 31 agosto 1995, Norma si destava frastornata dal dolore. Cassandra non sarebbe più stato “il matto”, “cinghialone” ma l’assassino. Da quel momento tutti vollero dimenticare. Stampa e tv registrarono un dolore incolmabile misto allo stupore più assoluto: nessuno pensava a lui come un omicida seriale.
La madre, prima che il marito la zittisse, rilasciava solo poche parole:
“Simone parlava poco con noi. Nessuno si immaginava questo finimondo.”

L’omicidio, vizio di famiglia
Nel frattempo uscì una storia di qualche tempo prima. L’omicidio, insomma era un vizio di famiglia. Simone era infatti cugino di Carlo Cappelletti autore, assieme all’amante Maria Luigia Redoli, del rinomato “omicidio della Versilia”. I fatti risalgono al 1989: Carlo, 24 anni ed ex aitante carabiniere a cavallo, ha una relazione con Maria Luigia (soprannominata in seguito “Circe della Versilia”), sgargiante signora di cinquant’anni e moglie di Luciano Iacopi. Il ricco pensionato, toscanaccio di 69 anni detto gasparotto, è ucciso dai due con 18 coltellate e rinvenuto proprio dagli amanti nella garage presso la villetta di Forte dei Marmi. Un caso questo adatto a divenire “Delitto di provincia”.

Processo e imputabilità
Il processo vide imputato Simone Cassandra per triplice omicidio e occultamento di cadavere. Scelto il rito abbreviato, l’intero procedimento si incentrò sull’imputabilità del reo confesso. Immediatamente fu rilevabile una grave alterazione dell’equilibrio psichico dell’individuo con compromissione dell’esame di realtà e disturbi formali del pensiero.

Le sentenze
Dubbi e perplessità trovarono ascolto nella sentenza di primo grado che dichiarò Simone Cassandra incapace di intendere e volere, attribuendogli dieci anni di ospedale psichiatrico giudiziario. Saranno i giudici della Corte d’Assise d’appello a rilevare premeditazione e lucido intento omicida accanto a psicosi paranoide. I magistrati di secondo grado eccepirono riguardo il vizio totale di mente, propendendo per la semi-infermità e modificando la sentenza in tre anni di O.P.G. e 26 di carcere.
Ad oggi, grazie agli sconti di pena, Simone Cassandra è libero.
Analisi criminologica di Simone Cassandra
Simone è un serial killer visionario organizzato la cui genesi rimbalza tra un disturbo psicotico di tipo paranoide, deficit intellettivi e tratti di personalità sociopatica. Nonostante Simone si comporti aderendo alle caratteristiche del seriale organizzato, le caratteristiche che lo contraddistinguono rispecchiano la tipologia disorganizzata: bassa scolarizzazione, disturbi mentali, prossimità alle vittime, socialmente poco integrato, basso reddito.
Arduo mi risulta valutare con imparzialità tale figura perché dibattuto tra l’agito di un soggetto affetto da sintomi psicotici e incapace o un serial killer la cui capacità di discernimento sarebbe stata limitata negli attimi in costanza dei reati.
Una analisi può condurre a sensibili conclusioni tramite l’esame dettagliato dell’intera criminogenisi solo se accompagnata alla verisimile eziologia del processo decisionale.

Simone Cassandra: capace o incapace?
Simone Cassandra predetermina la morte delle sue tre vittime seguendo due filoni differenti. La criminogenesi rileva infatti un primo movente legato alla vendetta, all’onore e al timore, tematica quest’ultima indissolubilmente legata alla sua imputabilità. Plausibile percetto del ragazzo sarebbe stata una infondata e lacerante paranoia connessa alle ipotetiche conseguenze generabili dal furto inflitto a Belmonte indi dalle sue minacce. Ne organizza la morte con assoluta dovizia, strutturando una scusante plausibile, gestendone le interazioni fino a sfruttare la lussuria come vizio capitale. Arma e luogo di occultamento sono perfettamente preordinati: conducono infatti il piano omicidiario agli esiti desiderati.

Simone non è stupido, tale valutazione è inattaccabile. Ciò che rimane oggetto di esame è l’alba, l’insorgere dell’intento omicidiario e della reazione violenta. Il soggetto pare presentare disturbi di contenuto del pensiero: ideazione prevalente o delirante (i cosiddetti deliri) e la paranoia. Il contenuto dei deliri è di tipo persecutorio e di grandezza: risponde con violenza inaudita ad alcune inconsistenti minacce a seguito di un furto di polli. Appare evidente una alterazione nella percezione dell’effettivo pericolo la quale ha generato un’impennata iperbolica nelle conseguenze materiali agite.
Simone è inoltre frutto di un processo di deviazione secondaria ferocemente tipico: riprendendo le parole del sociologo Edwin Lemert, l’indentita deviante diventa totalizzante solo in conseguenza di stigmatizzazione diffusa in tutta la società. Simone si rispecchia nel concetto di “strambo” lui appiccicato e da esso si erge, protegge, maschera e decide.
Il modus operandi di Simone Cassandra
L’omicidio di Franco Giordano è anch’esso predeterminato con assoluta destrezza. Tale delitto conferma il modus operandi contraddistinguente l’offender e ne comprova la personalità metodica e ripetitiva.

Aggancia il giovane grazie ad una scusa plausibile e funzionale al rapporto tra i due, conduce anch’egli in un luogo appartato, occulta l’arma e sfrutta nuovamente il pozzo. In tutti e tre i delitti colpisce sempre da dietro: assente l’incontro diretto con lo sguardo, il volto delle vittime. Simone svolge un compito, porta a termine una esecuzione.
Morale e movente
Assumendo la collocazione dei cadaveri post mortem come punto di riflessione notiamo come essa sia funzionale a che niuno noti lo scempio, circostanza cui soggiace piena consapevolezza circa l’empietà dell’atto.
Corrispettivo oggetto di studio consta nella conforme percezione morale del giovane, ovverosia distinguere il bene dal male: aderenti alla precedente deduzione, segue risposta affermativa la quale si incastra una volta sussunto il movente. Esso è figlio inconsapevole di processi mentali alterati e viziati, platealmente sottomessi a psicosi paranoide. Simone crede che Franco voglia ucciderlo.

Un piccolo bambino sveglio
Un secondo filone è rintracciabile considerando il terzo omicidio: Edoardo Novata è infatti eliminato perché testimone. In lui riverberano alcune specularità già apprezzate nel caso di Franco, come il timore della sanzione. Dinamica simile alle precedenti, arma identica ma luogo di occultamento differente.
Manifesta cordoglio per quanto cagionato al piccolo ma alterna ad esso l’impellente necessità di guadagnare una via di fuga. L’assassino non è in grado di recepire l’esiguità del pericolo rappresentata dalla vittima: improbabile questa si recasse dai Carabinieri, più probabile riportasse i fatti ai coetanei estromettendo gli adulti. In entrambi i casi, la testimonianza del piccolo sarebbe stata priva di materiale probatorio indi per cui inattendibile.
Considerazioni similari, sono rintracciabili nei precedenti delitti: Simone interpreta un lite, un furto, come accadimenti atti a originare uno stravolgimento della realtà molto più grave di ciò che sarebbe potuto succedere. Tutta la vicenda tracima d’un evidente difficoltà se non incapacità a distinguere la realtà dalla fantasia portando a sospettare di sintomi simili alla schizofrenia.

Che Simone fosse totalmente incapace di provare una qualunque empatia? Che fosse semplicemente “cattivo”?
Sarebbe errato dimenticarsi delle dichiarazioni rilasciate dall’assassino alla sorella della vittima proprio nella notte dell’omicidio, oppure agli inquirenti o ancora all’amico finanziere. A molti sembrerà giusto definirlo un serial killer reo confesso, ad altri un alienato affetto da gravi turbe mentali e deficit cognitivo. La realtà è quella descritta, l’opinione dell’autore attende ulteriore materiale probatorio, la giustizia lo ha ritenuto un serial killer.
Ardua vita d’un giullare iracondo. Occhi stretti, incauti cenci attirano risa e compassione. Fosco, lo sguardo d’egli: vede mare in tempesta là dove vento stenta a vivere. Che l’alba sia tramonto o il buio sembri morte, la mente nutre il morbo se d’esso è fatto il senno.
Dott. Mattia Curti, Criminologo

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