Morire in carcere: quando il suicidio sembra essere l’unica via d’uscita – prevenzione e modalità di intervento

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Questo articolo affronta un argomento delicato e spesso sottovalutato: il fenomeno del suicidio in carcere.

Partendo dalla constatazione che uniformare le motivazioni individuali che inducono al suicidio è impossibile, l’intento di questo articolo è far emergere la complessità del problema e stimolare una maggiore attenzione e sensibilità nei confronti di chi si trova ad affrontarlo.

Attraverso una testimonianza dall’interno e l’analisi delle principali cause di suicidio in carcere, questo articolo vi offre spunti di riflessione sulle difficoltà psicologiche che possono portare alla decisione estrema e sulle modalità di prevenzione e intervento che possono essere messe in atto per ridurre il rischio di episodi tragici.

Potrebbe risultare strano che lo scorso articolo avesse come titolo “La vita in carcere” e ritrovarsi, a distanza di poco tempo, a leggere il suo opposto. Ciò che c’è nel mezzo, sarà argomento delle prossime pubblicazioni.


Ma allora, perché arrivare direttamente a quella che è percepita come fine? Come mai un salto così in lungo?

Il ciclo della vita

Siamo cresciuti studiando a scuola il ciclo vitale delle piante, degli animali, degli esseri umani e, con una nota di nostalgia, anche guardando i classici Disney.

A quale mi riferisco? A “Il Re Leone” che ci fa cantare da sempre così:

“Un bel giorno ti accorgi che esisti,
che sei parte del mondo anche tu.
Non per tua volontà e ti chiedi: – Chissà,
siamo qui per volere di chi? –
Poi un raggio di sole ti abbraccia,
i tuoi occhi si tingon di blu.
E ti basta così,
ogni dubbio va via
e i perché non esistono più.
è una giostra che va, questa vita che
gira insieme a noi e non si ferma mai.
E ogni vita lo sa che rinascerà,
in un fiore che fine non ha.”

Eppure, questi perché, spesso non ti lasciano andare, non ti fanno sentir libero di poter continuare a farti abbracciare da un raggio di sole mentre la giostra continua la sua corsa.

cosa si cela dietro un comportamento suicidario?

Quando veniamo a conoscenza di una notizia del genere, siamo sempre pronti a giudicare e minimizzare quanto avvenuto o a puntare il dito nei confronti di chi ha commesso l’atto.

Uniformare le motivazioni individuali che inducono al suicidio è impossibile, si potrebbe chiosare nelle sue generalità, ma quando si valuta un singolo caso è necessario far dominare la cautela, la discrezione e la comprensione umana. Paragonando la nostra reazione ai segni di punteggiatura, è come se fossimo sempre pronti a mettere un punto esclamativo (!) e quasi mai quello interrogativo (?).

Non ci si interroga su cosa possa nascondere un simil gesto o cosa voglia comunicare, anzi…pretendiamo di avere già la risposta in mano. Ma così non è.

L’impatto psicologico dell’arresto e dell’incarcerazione, le crisi di astinenza dei tossicodipendenti, la consapevolezza di una condanna lunga, o lo stress quotidiano della vita in carcere possono mettere a dura prova la soglia di sopportazione di un soggetto, specie se ad alto rischio.

Abbandono, vuoto, perdita di identità e speranza, mancanza di considerazione, vuoto incolmabile…

Sono solo alcuni dei termini che, declinandoli in vari modi, possono indicare le principali cause di suicidio in carcere. Dietro questi stati d’animo vi sono spesso storie di vita complicate, a volte drammatiche.

Il soggetto che arriva al suicidio, non è in grado di elaborare e metabolizzare una sofferenza intollerabile: una sofferenza che vede la morte come unica via d’uscita. Questo soggetto ha un forte disturbo psichico, patisce un profondo senso di isolamento, frustrazione, dolore fisico.

Il soggetto che arriva al suicidio, ha…aveva bisogno di aiuto.

Suicidio in carcere: una testimonianza dall’interno

Potrebbe sembrare tutta retorica, ecco perché ho deciso di citare, integralmente, uno scritto che ho ricevuto in carcere da un ragazzo sull’argomento:

Ci sono due tipi di persone: c’è chi fa qualsiasi cosa per fuggire da situazioni complicate assumendo droga, farmaci, tentando o scegliendo il suicidio e c’è chi resta e combatte, qualsiasi cosa gli capiti nella vita.

Il problema è per loro: quelli che combattono. Perché, con il tempo, ciò che gli rimane sono odio, demoni, dimenticare cosa sia il rimorso, l’annullamento dei sentimenti. Invece, chi ha le “palle” di riuscire a fuggire, tipo con il suicidio, ha la possibilità di lasciare andare i fantasmi, i demoni e i propri peccati, gravi o piccoli che siano!!!

Quindi, da una parte ammiro chi fa quella scelta, anche se personalmente non farò mai, perché sin da piccolo mi hanno cresciuto con l’idea di combattere sempre e tenere sempre la testa alta: attendendo il proprio giorno con serenità […]”

DEFINIZIONE e NUMERI dei tassi di suicidio in carcere

Tutti noi conosciamo ciò che si intende parlando di suicidio: l’atto volontario di porre deliberatamente fine alla propria vita. Nel 2022, i casi di suicidio registrati nelle carceri italiane sono stati 84: 78 uomini e 5 donne.

Dati fin troppo preoccupanti che dovrebbero indurre alla riflessione.È il numero più alto di suicidi registrato in Italia dal 2000, ovvero da quando questi dati sono stati resi disponibili a livello nazionale. I dati relativi agli anni Novanta suggeriscono che il tasso di suicidi non era mai stato così alto.

Per il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, non conta molto la durata della pena o della carcerazione preventiva e nemmeno le condizioni della pena. È l’approdo in carcere in sé l’elemento che porta al suicidio, così come la vulnerabilità.

Secondo Daniela de Robert, dell’ufficio dell’autorità del Garante: «Il rapporto di quest’anno evidenzia innanzitutto un record negativo: negli ultimi 10 anni non ci sono mai stati così tanti suicidi».

Alcuni «non avevano fatto in tempo neppure ad essere immatricolati perché si sono uccisi subito. Non è il sovraffollamento o il carcere degradato a spingere le persone a gesti estremi, ma la disperazione: quella sensazione terribile di chi entra in carcere e pensa: “da qui non riemergerò mai più».

De Robert aggiunge: «È il vuoto a caratterizzare ancora troppe carceri italiane: la dimensione di un tempo che scorre inutilmente semplicemente sottratto alla vita che non riesce a diventare un’opportunità di crescita di cambiamento, e poi reinserimento costruttivo per i detenuti, come ci chiede la Costituzione».

(testo tratto da Servicematica.comIl 2022 è stato l’anno con il maggior tasso di suicidi nelle carceri italiane“)

Suicidio in carcere: prevenzione e modalità di intervento

Il suicidio, nelle carceri, è spesso la causa più comune di morte. La prevenzione è una tematica complessa, in ogni ambito di intervento.

Non bisognerebbe mai discostarsi da un principio fondamentale: mettere sempre l’uomo al centro del raggio d’azione. Uomo che necessita di esser considerato come tale, supportato, ascoltato, accolto.

È utile allora:

  • prestare particolare attenzione ai segnali di forte disagio psichico;
  • avere colloqui con i soggetti per appurare l’accentuarsi di sentimenti di disperazione o intenti suicidari nei periodi circostanti le udienze in tribunale o altri periodi critici;
  • cogliere eventuali conflitti o problemi emergenti durante la visita con familiari e amici e incoraggiare i medesimi a comunicare al personale carcerario la percezione o il sospetto di un intento suicidario nel familiare detenuto; 
  • valutare il rapporto tra il regime di reclusione e lo stato psichico del soggetto e/o il grado di rischio cui è esposto;
  • incentivare rapporti tra gli agenti e i soggetti incarcerati che facilitino l’esternazione di condizioni di disagio o sentimenti di disperazione; 
  • migliorare l’attitudine all’ascolto, anche attraverso riunioni di gruppo tra agenti e persone detenute. 

Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, ed un eventuale fallimento di questo mandato può essere perseguito ai fini di legge. 

Stilare un programma di prevenzione del suicidio e organizzare un servizio d’intervento efficace

Queste sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono assegnati in quanto, un simil gesto, potrebbe gravare anche sulla salute psico-fisica del personale e delle altre persone detenute.

Ecco perché, ai fini dell’incisività, la collaborazione e il coordinamento tra le autorità amministrative, il personale penitenziario e dei servizi sanitari che operano all’interno degli istituti, dovrebbero essere fondamentali.

Per la società e per la salute pubblica, prevenire e diminuire i casi di suicidio e di tentato suicidio sono una sfida che si è concretizzata, nel tempo. In che modo?

Attraverso studi di settore e con l’istituzione della giornata mondiale per la Prevenzione del Suicidio col fine primario di dare una dimensione di concretezza ai programmi e ai progetti di tutti.

E’ una giostra che va, questa vita che
gira insieme a noi e non si ferma mai.
E ogni vita lo sa che rinascerà
in un fiore che fine non ha.

Dott.ssa Federica Saracino

Suggerimenti di lettura in merito al mio articolo sul suicidio in carcere

Se sei interessato alla disciplina, ti invito a leggere anche gli altri articoli della rubrica di Criminologia che tengo insieme al Dott. Curti, criminologo che narra i serial killer italiani dal punto di vista cronistorico, psichiatrico e criminologico.

Nel mio primo articolo scritto per i divulgatori seriali, invece, io ho parlato della vita in carcere, soffermandomi sugli aspetti psicologici che riguardano la reclusione.

About Federica Saracino

Laureata in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica e abilitata alla professione.
Specializzata in Scienze Criminologiche per l'Investigazione e la Sicurezza.
Esperta in Psicologia Investigativa, Criminal Profiling, Psicologia Giuridica, Psicopatologia e Psicodiagnostica Forense.