Neuroscienze: comprendere l’empatia cognitiva, affettiva e il contagio emotivo attraverso la neuropsicologia

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L’empatia in neuropsicologia è spesso definita come un’esperienza di condivisione emotiva vicaria che mantiene comunque un distacco dall’altra persona.

Tuttavia, ci sono diverse teorie su come l’empatia venga sperimentata e su quali siano le cellule coinvolte. Inoltre, alcuni autori distinguono tra empatia cognitiva e empatia affettiva.

Nel passato, l’empatia è stata definita in molti modi diversi, come “identificazione isterica” da parte di Freud o “sentire dentro” da parte di Lipps. Mentre l’empatia nasce come esperienza emozionale, alcuni studiosi sostengono che esistano due tipi di empatia, quella cognitiva e quella affettiva.

Ma come si sfugge dal contagio emotivo? Quali sono le cellule coinvolte? Qual è la differenza tra empatia cognitiva ed empatia affetiva?

L’empatia non è confondersi con l’altro, questo si chiama contagio emotivo

L’empatia e il contagio emotivo sono due concetti spesso confusi. Anzi, spesso pensiamo di essere persone empatiche perchè proviamo un dolore immenso quando qualcuno lo condivide con noi, a prescindere dall’intensità del dolore altrui. A volte basta che l’altro nomini una difficoltà che ci apre un ricordo doloroso che subito veniamo pervasi da un dolore immenso: la cosa buffa è che crediamo che questa sia empatia.

Quella non è empatia, ma contagio emotivo.

L’empatia è la capacità di comprendere e condividere le emozioni degli altri, mentre il contagio emotivo è la tendenza a “contagiarsi” con le emozioni degli altri a volta anche intensificando con il nostro passato le esperienze emotive altrui.

L’empatia implica una consapevolezza attiva delle emozioni degli altri e la capacità di mettersi nei loro panni, mentre il contagio emotivo è un processo più automatico e spesso fuori dal nostro controllo.

Concetto chiave è che l’empatia permette di riconoscere e comprendere le emozioni degli altri senza perdere la propria prospettiva individuale. A differenza, il contagio emotivo, in cui le emozioni degli altri vengono percepite e condivise in modo automatico, non ci permette di discernere tra il proprio io e quello degli altri facendo una gran confusione.

Questa differenza esperienziale è cruciale per comprendere come l’empatia ci permette di stabilire relazioni sociali sane e efficaci mentre il contagio emotivo può portare a grossi problemi di comunicazione e di relazione.

L’empatia ci consente di rimanere in contatto con noi stessi mentre ci relazioniamo con gli altri, di avere una comprensione profonda delle loro emozioni e di essere in grado di rispondere in modo adeguato. Al contrario, il contagio emotivo ci fa confondere le nostre emozioni con quelle degli altri, rendendo difficile la comprensione della situazione e la capacità di rispondere in modo efficace.

Le differenze tra empatia e contagio emotivo secondo le neuroscienze

Le neuroscienze ci forniscono una prospettiva unica per comprendere le differenze tra empatia e contagio emotivo. In generale, l’empatia è associata all’attività di alcune aree cerebrali specifiche, come l’insula, il cingolo anteriore e il giro temporale superiore. Queste aree sono coinvolte nella percezione interiore delle emozioni, nella comprensione delle intenzioni e nell’elaborazione delle emozioni degli altri.

Inoltre, l’empatia è legata all’attività dei neuroni specchio (che trovi in fondo all’articolo), che sono neuronii che si attivano sia quando si compie un’azione che quando si osserva l’azione degli altri. Questi neuroni specchio ci permettono di metterci nei panni degli altri e di comprendere le loro intenzioni e azioni.

D’altra parte, il contagio emotivo è legato a meccanismi più automatici e inconsci, come l’attivazione del sistema nervoso simpatico. Il sistema nervoso simpatico è responsabile della “risposta di allarme” del nostro corpo, che ci prepara per l’azione in situazioni di stress o pericolo. Quando vediamo o sentiamo qualcuno che mostra emozioni intense, il sistema nervoso simpatico si attiva automaticamente e ci fa sentire le stesse emozioni.

Inoltre, la ricerca ha dimostrato che l’empatia e il contagio emotivo possono essere modulati da diversi fattori, come la personalità, l’esperienza e la cultura. Anche l’esperienza e l’educazione, ovviamente, possono influire sulla capacità di regolare le emozioni e sull’abilità di stabilire relazioni efficaci.

Un po’ di bibliografia non guasta mai

I neuroni specchio ci danno la capacità di empatizzare?” V.S. Ramachandran (2012) – Questo articolo fornisce una panoramica generale delle aree cerebrali coinvolte nell’empatia e dei meccanismi neurobiologici alla base di questo processo.

Empathy and contagion of emotional states” di E. Hatfield, J.T. Cacioppo e R.L. Rapson (1993) – Questo articolo esplora la differenza tra empatia e contagio emotivo, mostrando come questi due processi siano diversi sia a livello comportamentale che a livello neurobiologico.

The empathic brain: how, when and why?” di F. Vignemont e T. Singer (2006) – Questo articolo fornisce una descrizione dettagliata delle aree cerebrali coinvolte nell’empatia e dei meccanismi neurobiologici alla base di questo processo, con particolare attenzione ai neuroni specchio.

EMPATIA COGNITIVA ED EMPATIA AFFETTIVA in neuropsicologia

L’empatia cognitiva è la capacità di assumere, per mezzo dell’immaginazione, il ruolo dell’altra persona, capirne e predirne accuratamente i pensieri, le emozioni e le azioni.

L’empatia affettiva, invece, è la risposta emotiva vicaria (sostitutiva) alla percezione dell’esperienza emotiva altrui.

Le componenti del processo di empatia affettiva sono:

  • riconoscimento dell’emozione dell’altro (in termini emotivi, non cognitivi)
  • attivazione di un’emozione consonante o simile (non per forza la stessa)
  • capacità di distinzione tra sé e l’altro
  • disponibilità a condividere l’emozione
  • messa in atto di una risposta empatica

FASI DELLO SVILUPPO dell’empatia secondo la neuropsicologia

Un sentimenti tipico del bambino è il contagio emotivo: questo si definisce come “l’incapacità di distinguere la propria emozione da quella dell’altro”.

Un esempio tipico è quando un bambino inizia a piangere e tutti gli altri bambini presenti piangono di conseguenza. Questo ci fa capire che il contagio emotivo è involontario e immediato perchè non c’è la capacità di distinguere sé dall’altro. Non vi è appunto mediazione cognitiva: l’esperienza è condivisa non in modo vicario ma diretto.

L’empatia, invece, si sviluppa con la crescita del bambino, passando da forme immature di empatia ad una formta più adulta e completa. Difatti, la capacità empatica in sè è una capacità profondamente adulta, ovvero è necessario il superamento di molti step dello sviluppo per possederne le capacità.

Superata la fase del contagio emotivo, dopo un anno (più o meno) il bambino comincia a sviluppare l’empatia parallela o empatia fondata sull’evento. Questa si osserva quando, di fronte a un evento, il bambino attribuisce all’altro quelle che sarebbero le proprie emozioni (ad esempio vede che il fratello cade e di conseguenza inizia a piangere).

Se vogliamo scomodare Freud, questo meccanismo, da adulti, è un tipico meccanismo di difesa noto come proiezione.

Il bambino non riesce a prendere le distanze dalla situazionema ne è coinvolto pienamente al punto di viverla come reale. Questi non riesce a differenziare chiaramente il proprio vissuto da quello del soggetto che sta osservando (empatia egocentrica).

Verso i 3/4 anni il bambino comincia a distinguersi dall’altro e sviluppa l’empatia partecipatoria. Questa lo porta a focalizzarsi sulla persona anziché l’evento. Diventa chiaro che l’emozione condivisa è l’emozione dell’altro e non la propria (perspective taking). Questo tipo di capacità empatica è quello caratteristico anche nell’adulto.

Dunque, lo sviluppo della risposta emozionale empatica, è associato a uno sviluppo di tipo cognitivo.

MISURAZIONE DELL’EMPATIA in neuropsicologia

In Italia, la prof. Meneghini e il prof. Sartori hanno validato la scala BEES per misurare il costrutto dell’empatia. Questa scala ha il vantaggio di considerare sia la valenza positiva che quella negativa dell’empatia.

Sì perchè, contrariamente a quanto divulgato da molti, l’empatia è uno strumento che, potenzialmente, può essere dannoso alla psiche delle persone. Dannoso specialmente per chi non riesce a dissociarsi dal contagio emotivo e di conseguenza si assume costantemente responsabilità di eventi che direttamente non li riguardano basandosi sul sentire il dolore dell’altro.

La scala più diffusa attualmente è l’Interpersonal Reactivity Index (IRI), che permette di evidenziarne 4 possibili fattori:

  • Fantasy-empathy: misura la propensione ad identificarsi con i personaggi fittizi della letteratura, del cinema o del teatro; (aspetto cognitivo)
  • Perspective taking: valuta la capacità di adottare il punto di vista altrui; (aspetto cognitivo)
  • Empathic concern: analizza la tendenza dei soggetti a provare compassione, preoccupazione e calore nei confronti di altre persone che vivono esperienze spiacevoli; (aspetto emozionale)
  • Personal distress: valuta casi in cui l’essere spettatore di esperienze spiacevoli altrui provoca un senso di sconforto e ansia; (aspetto emozionale)

APPRENDIMENTO DELL’EMPATIA in neuropsicologia

Secondo la neuropsicologia, l’apprendimento dell’empatia può essere un processo complesso.

Mentre è possibile insegnare l’empatia cognitiva a persone con carenze in questo ambito, l’empatia emozionale sembra essere più difficile da migliorare. Alcuni ricercatori hanno esaminato il modo in cui l’empatia può essere appresa. Un modo per facilitare l’apprendimento dell’empatia è coinvolgere la persona nel pensiero dell’altro, ad esempio attraverso lo studio di un autore o di una situazione.

L’aggiunta di una componente empatica a questi processi di apprendimento può rendere più facile il consolidamento delle informazioni.

neuropsicologia: i DISTURBI SPECIFICI DELL’EMPATIA

Se avete presente il famoso caso di Phineas Gagele lesioni frontali mediali portano una difficoltà a riconoscere le emozioni nell’altro e di provare l’empatia.

Altre situazioni cliniche, come nelle prime fasi di deterioramento, possono portare a dei disturbi specifici nelle relazioni o interazioni sociali e in alcune componenti dell’empatia.

Nelle demenze fronto-temporali sono presenti 2 varianti:

  • una forma di deterioramento cognitivo che si manifesta attraverso il linguaggio (anomie, parafasie fonemiche e semantiche, etc.)
  • e una di tipo comportamentale (irascibilità, poca disponibilità a capire gli altri, egocentrismo).

In entrambi i casi ci possono essere effetti diretti sulla capacità empatica del soggetto coinvolto.

Nello studio Behavioral and neural correlates of visual emotion discrimination and empathy in mild cognitive impairment ad esempio, vengono analizzati pazienti con disturbi cognitivi lievi. Questi, in alcuni casi, evolvono in demenza e talvolta sviluppano disturbi comportamentali. I pazienti che soffrono di questi disturbi hanno difficoltà nel riconoscimento delle emozioni altrui, e cadono in particolare nella perspective taking, ovvero la capacità di assumere cognitivamente la prospettiva degli altri. Spesso, inoltre, i pazienti non sono consapevoli del disturbo, e questo incide sulla qualità della vita sociale e familiare.

Anche lesioni alle cortecce somatosensoriali destre compromettono la valutazione dello stato emotivo altrui in base alla visione del viso.

Sembra quindi che per riconoscere gli stati emozionali altrui sia necessaria l’integrità delle strutture adibite all’elaborazione del proprio corpo. Durante il riconoscimento dell’espressione facciale di un’emozione sarebbe attivato un meccanismo di simulazione interna della stessa che farebbe uso della rappresentazioni somatosensoriali associate a tale espressione.

UN ESEMPIO di empatia NEL CINEMA

Questo ci rimanda al film Quasi Amici (Intouchables)

Philippe (François Cluzet) è un ricco tetraplegico in cerca di un badante. Driss (Omar Sy) viene assunto all’inizio del film e tra loro nasce una splendida amicizia. 

La capacità empatica mostrata da Driss è indiscutibilmente legata alla sua salute psico-fisica.

Questo lo si nota bene negli studi sulla capacità empatica di soggetti con menomazioni fisiche (come Philippe, per esempio): persone che non possiedono più l’arto destro, per esempio, hanno grossa difficoltà ad immaginare esperienze percettive all’arto destro delle persoen normodotate.

Non si può parlare di empatia in neuropsicologia senza citare neuroni specchio e teoria della mente incarnata

I neuroni specchio di Rizzolatti

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che rispondono sia quando un individuo esegue un’azione che quando osserva qualcun altro che esegue la stessa azione. Si pensa che questi neuroni siano coinvolti nell’empatia e nella comprensione delle azioni degli altri.

I neuroni specchio sono stati scoperti per la prima volta negli anni ’90 da Giacomo Rizzolatti e i suoi colleghi presso l’Università di Parma in Italia. Utilizzando tecniche di microelettrofisiologia, hanno osservato l’attività dei neuroni nel cervello di scimmie mentre eseguivano o osservavano azioni specifiche, come afferrare oggetti o mangiare cibo. Hanno scoperto che alcuni neuroni rispondevano sia quando la scimmia eseguiva l’azione che quando osservava qualcun altro che eseguiva la stessa azione.

I ricercatori hanno scoperto i neuroni specchio negli anni ’90 sia nell’uomo che negli animali.

Gli esperti ritengono che i neuroni specchio siano coinvolti in diverse funzioni cognitive, come appunto l’empatia, la comprensione delle azioni degli altri e l’imitazione delle azioni. I neuroni specchio sono stati associati alla capacità di imitare le azioni degli altri, che è un aspetto importante dell’empatia.

Ad esempio, se osserviamo qualcuno che piange, i nostri neuroni specchio potrebbero attivarsi, facendoci sentire tristi anche noi. Oppure, se vediamo qualcuno che compie un’azione fisica, come sollevare un peso, i nostri neuroni specchio potrebbero attivarsi in modo da consentirci di immaginare come sarebbe farlo noi stessi.

Le ricerche hanno associato i neuroni specchio a diverse condizioni mediche, come l’autismo e il morbo di Parkinson.

La teoria della mente incarnata

La teoria della mente incarnata è stata teorizzata da un gruppo di ricercatori, tra cui Marc Jeannerod, nel primo decennio del 21° secolo. Si distingue da altre teorie coeve, come la teoria della mente modulare, poiché sottolinea il ruolo del corpo e dei sensi nella comprensione delle emozioni e delle azioni degli altri.

Secondo la teoria della mente incarnata, il nostro cervello utilizza le informazioni provenienti dalle nostre esperienze interne e dai nostri sensi per comprendere il mondo che ci circonda. Questa teoria si basa sull’idea che il nostro corpo e i nostri sensi siano intimamente connessi alla nostra mente e che questi forniscano un importante contributo alla nostra comprensione del mondo e degli altri. La teoria della mente incarnata si differenzia da altre teorie della mente, che spesso sottolineano il ruolo dei processi cognitivi nella comprensione delle emozioni e delle azioni degli altri.

La teoria della mente incarnata sostiene quindi che la comprensione delle emozioni e delle azioni degli altri è basata sulla similitudine con le nostre esperienze interne e sulla nostra capacità di utilizzare il nostro corpo e i nostri sensi per comprendere il mondo che ci circonda.

Ad esempio, se vediamo qualcuno che sorride, il nostro cervello può automaticamente associare questo segno con la felicità, poiché abbiamo imparato attraverso l’esperienza che il sorriso è spesso un segnale di felicità. Oppure, se vediamo qualcuno che alza le spalle, potremmo comprendere che questa persona è perplessa o incerta, poiché il nostro cervello riconosce questo movimento come un segnale di incertezza o confusione.

Quindi…

Insieme, i neuroni specchio e la teoria della mente incarnata forniscono un quadro di come l’empatia sia legata alla nostra capacità di utilizzare le nostre esperienze interne e le informazioni provenienti dai nostri sensi per comprendere le emozioni e le azioni degli altri.

Dott. Niccolò Di Paolo

Suggerimenti di lettura in merito all’articolo sull’empatia in neurpsicologia

Se ti è piaciuo il mio articolo su l’empatia in neuropsicologia ti suggerisco di dare un’occhiata alla nostra rubrica di neuropsicologia.