Olocausto Brasiliano: il dramma dei pazienti dell’Ospedale Psichiatrico di Colônia a Barbacena

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Con Olocausto Brasiliano, o meglio “Holocausto Brasileiro“, ci si riferisce al genocidio commesso contro i pazienti psichiatrici dell’ospedale di Barbacena, in Minas Gerais, in Brasile.

Per anni, i pazienti sono stati tenuti in condizioni disumane, e si stima che sessantamila persone siano morte. Solo pochi sono riusciti a sopravvivere.

Prologo all’articolo sull’olocausto brasiliano

Nel cuore del Brasile, tra le verdi colline di Minas Gerais, si nasconde un oscuro capitolo della storia che molti preferirebbero dimenticare: l’Olocausto Brasiliano. Parliamo di un luogo che, nonostante la sua tetra risonanza, è rimasto per lungo tempo avvolto nell’oscurità del silenzio.

Un luogo chiamato Colonia, un ospedale psichiatrico che, nel corso dei decenni, è diventato palcoscenico di un orrore inimmaginabile, il cui eco si perde tra le pieghe della memoria. Questa è la storia poco conosciuta dell’Olocausto brasiliano, una ferita aperta che ha segnato la vita di migliaia di persone, cancellando identità, sogni e dignità.

L’olocausto brasiliano: la tragedia occulta dell’ospedale Colônia

Pur essendo una storia recente, questo fatto così macabro rimane sconosciuto dalla maggior parte delle persone, stranamente anche dai brasiliani. Ora racconterò la storia del più grande ospedale psichiatrico in Brasile che divenne noto come Colonia che prende questo nome prendendo spunto agli atti di crudeltà come quelli successi nella Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale.

Colonia fu inaugurato nel 1903 ed è aperto ancora oggi ma il periodo di maggior barbarie ha avuto luogo tra il 1930 e il 1980 quando molte persone erano ricoverate senza avere sintomi di disturbi mentali. Secondo i dati, circa il 70% delle persone non ebbero diagnosi di malattia mentale. Quel posto fu comandato da persone ricche e influenti. Fu creato per “aiutare” le persone con disabilità mentale, ma invece fu utilizzato per “carcerare” le persone socialmente indesiderate come omosessuali, neri, prostitute, alcolizzati.

C’erano persone che furono ricoverati su richiesta da parte di colonnelli, banchieri e mariti che per esempio, volevano sbarazzarsi della moglie per vivere con l’amante. Non avevano più criteri medici. Ci fu anche il caso, per esempio di una ragazza ricoverata perché era triste.

Echi di sofferenza: la tragedia dell’Ospedale Colônia a Barbacena, Brasile

L’Ospedale Colônia, situato nella città di Barbacena, nello stato di Minas Gerais, è considerato uno degli ospedali psichiatrici più antichi e più grandi del Brasile. Fu tra le mura della Colonia che molti pazienti sperimentarono una delle più grandi barbarie della storia. Ai pazienti, o meglio alle “persone”, arrivati ​​sul posto, furono rubati identità, storie e sogni. Dal momento del ricovero, questi esseri umani furono privati ​​del diritto di vivere una vita dignitosa.

Coloro che venivano indirizzati in questo centro, non avevano una diagnosi che giustificasse la loro presenza in quell’ambiente. Alcuni di loro erano considerati disagiati o diversi dalla società.

Circa il 70% non aveva diagnosi di malattia mentale. Erano epilettici, alcolizzati, omosessuali, prostitute, persone che si ribellavano, persone che erano diventate un fastidio per chi aveva più potere. Erano ragazze incinte, violentate dai loro padroni, erano mogli confinate affinché il marito potesse vivere con l’amante, erano figlie di contadini che avevano perso la verginità prima del matrimonio. Infine, erano uomini e donne che avevano smarrito i documenti.

Alcuni erano semplicemente timidi. Almeno trentatré erano bambini.

Tra le ombre del manicomio: la cruda verità della vita senza identità e dignità

La prima cosa che accade quando si entra in un campo di concentramento è che la propria identità viene confiscata: il nome dell’individuo viene completamente cancellato e viene chiamato con un numero.

Successivamente vengono portati via gli indumenti e gli oggetti personali. Quando raggiungevano il manicomio i “ricoverati” avevano una routine ‘disumana’. Dormivano insieme in grandi stanze senza letto e senza coperte. Inoltre l’alimentazione era scadente causando la malnutrizione e quindi lo sviluppo di malattie. Molte persone in momenti di disperazione mangiavano topi e piccioni vivi, bevevano anche la propria urina. Non c’era alcuna privacy, fino al 1979 facevano i bisogni davanti a tutti.

Il fatto che gli uomini, le donne e anche bambini erano nudi per tutto il tempo, ha creato un clima di promiscuità in manicomio. Ci sono state segnalazioni di donne che furono violentate dai dipendenti, una donna per esempio rimase incinta da un funzionario.

Olocausto Brasiliano: la morsa della disperazione nell’Inferno di Colônia

Oltre alle condizioni igieniche vergognose, il centro ospitava 5.000 persone alla volta mentre la capacità originale era per 200 pazienti, tutto questo causava circa di 16 morti ogni giorno.

Ad alcuni viene tolta la vita, l’anima, il sorriso, la dignità e la voglia di vivere. I detenuti, non appena misero piede a Colônia, persero la speranza di vivere nuovamente nello spazio pubblico. Ciò che si vedeva nell’istituto era tortura, fame, morte, sofferenza, dolore, stupro e molto altro ancora.

I diseredati sociali arrivavano al centro da vari angoli del Brasile. Si stipavano nei vagoni merci proprio come gli ebrei deportati, durante la Seconda guerra mondiale, nei campi di concentramento nazisti di Auschwitz.

Riflessioni sull’umanità perduta: Hannah Arendt e l’inferno atroce dei campi di concentramento

L’intellettuale tedesca Hannah Arendt (1906-1975) diede un contributo fondamentale alla cultura filosofico-politica del Novecento. Di origine ebraica, visse in prima persona il dramma dell’Olocausto, e nel 1941 è fuggita negli Stati Uniti, vivendo gran parte della sua vita come esule.

Arendt sosteneva che i campi di concentramento e di sterminio riuscirono non solo a sterminare milioni di persone, ma anche a distruggere la loro umanità. Attraverso torture inimmaginabili, le vittime sono state trasformate.

Secondo Arendt (1989), una delle perdite che gli ebrei subirono nei campi era il desiderio di vivere. Ciò avvenne perché essi entrarono in contatto con quello che la filosofa definisce “un inferno atroce”. I campi erano considerati il ​​vero inferno sulla Terra:

“[…] le persone perdono la voglia di vivere e l’esperienza che abbiamo fatto con l’inferno atroce dei campi totalitari ci ha fatto capire fin troppo bene che queste condizioni sono possibili”.

incatenati all’oblio: la desolazione di Colônia e i fantasmi dell’inumanità dell’Olocausto Brasiliano

A Colônia i detenuti persero anche la voglia di vivere, al punto da non credere che avrebbero lasciato quel luogo o che qualcuno sarebbe venuto a salvarli. Alcuni aspettavano semplicemente la morte, poiché non c’era motivo di voler vivere.

I pazienti morivano di freddo, di fame, di malattie, elettroshock. In pochi giorni gli elettroshock furono così tanti e così forti che il sovraccarico mandò fuori uso la rete comunale. Nei periodi di punta morivano sedici persone al giorno.

Ciò che accade è che l’orrore e la crudeltà commessi nei campi di concentramento sono simili a quanto accaduto a “Colonia”. Gli ebrei e i detenuti che riuscirono a uscire vivi da questa catastrofe porteranno per il resto della loro vita le conseguenze della tragedia avvenuta in questi due luoghi. Dopo tutta l’esperienza vissuta in questo centro, è impossibile vivere senza dimenticare i maltrattamenti, la mancanza di sguardi, la sofferenza, le immagini di crudeltà e la perdita di tanti compagni sul campo. Nei campi di concentramento e a Colonia, i corpi venivano forgiati, annientati e torturati come forma di punizione.

Le persone che non sono arrivate in treno sono state portate in ospedale con autobus o veicoli della polizia. Prima dell’apertura della Colônia, gli anormali, considerati pericoli per società, venivano mandati in istituti come le carceri pubbliche.

nel cuore dell’inferno: le strazianti rivelazioni di Antônio Gomes da Silva sulla Colonia

La costruzione della Colonia serviva interessi politici. Uno dei pazienti ricoverati fu Antônio Gomes da Silva. Il suo ricovero avvenne per un motivo banale, ritenuto sufficiente per essere portato in istituto. Ecco cosa dice Antônio, in una delle sue dichiarazioni:

Non so perché mi hanno arrestato. Ognuno diceva qualcosa. Ma dopo aver perso il lavoro, tutto è andato in tilt. Dal carcere mi mandarono all’ospedale, dove ero nudo, anche se nella lavanderia c’erano molti vestiti. È arrivato tutto con un camion, ma penso che volessero risparmiare denaro.

All’inizio dava fastidio stare nudi, ma con il tempo ci siamo abituati. Se esiste l’inferno, la Colonia era quel posto.

Molti dipendenti dell’Ospedale vivevano agli “ordini” di un superiore dovendo svolgere mansioni senza avere alcuna preparazione o corso di specializzazione. Il potere dei superiori sui pazienti era chiaro. Umiliare, maltrattare, portare alla morte, scioccare e disumanizzare erano i compiti dei responsabili dell’Ospedale. Abbiamo capito che essere a Colonia era come vivere all’inferno stesso. Molti detenuti non sapevano perché si trovassero lì.

Era un ambiente infernale, perché, nelle notti fredde della Serra da Mantiqueira, i detenuti erano lasciati all’aperto, senza coperte, ed erano completamente nudi o coperti da stracci. La maggior parte dei pazienti non riuscì a resistere e finì per morire a causa del freddo, della fame e degli elettroshock.

Il macabro commercio dei corpi e la lotta per la riforma psichiatrica

Alcuni corpi furono venduti alle scuole di medicina di tutto il paese.  C’era un commercio esplicito di corpi e cadaveri, infatti più tardi fu scoperto che dietro a tutto ciò c’era una sorta di “mafia”. I corpi erano venduti in varie università di medicina del Brasile facendo girare una gran somma di soldi. Man mano le università smisero di comprare i corpi, così i funzionari iniziarono a decomporli dell’acido.

Le “atrocità” nell’ospedale cominciarono a diminuire quando la riforma psichiatrica guadagnò slancio a Minas Gerais nel 1979.

“Sono andato oggi in un campo di concentramento nazista. In nessuna parte del mondo ho assistito a una simile tragedia “- psichiatra italiano Franco Basaglia, conferenze Brasiliane

Epilogo all’articolo sull’olocausto Brasiliano

L’orrore dell’Olocausto Brasiliano, sepolto per decenni nell’oscurità del silenzio, è ora rivelato alla luce della verità. La storia di Colônia, l’ospedale psichiatrico di Barbacena, è una ferita aperta nella memoria del Brasile, una testimonianza dell’atrocità e della disumanizzazione inflitte a migliaia di individui.

Le testimonianze di coloro che hanno vissuto l’inferno di Colônia, come Antônio Gomes da Silva, ci parlano di una vita privata di dignità, di una realtà fatta di umiliazioni, maltrattamenti e disperazione. I pazienti, privati delle loro identità e trattati come numeri, hanno sperimentato una quotidiana lotta per la sopravvivenza, esposti alle intemperie e alla fame, vittime di elettroshock e maltrattamenti che sfidano ogni concetto di umanità.

La Colônia, una struttura progettata per “aiutare” le persone con disabilità mentale, è diventata un inferno per coloro considerati socialmente indesiderati. La sua capacità di 200 pazienti superata da 5.000, ha provocato la morte di circa 16 persone al giorno. La barbarie raggiunta all’interno di quelle mura ha lasciato un segno indelebile sulla storia del Brasile, un segno che si estende anche al macabro commercio di corpi e cadaveri, simbolo di una sorte crudele e senza pietà.

Riflettendo sull’Olocausto Brasiliano, le parole di Hannah Arendt emergono come una dolorosa verità.

La Colônia ha non solo privato le persone della vita e della dignità, ma ha anche distrutto la loro umanità. La riforma psichiatrica del 1979 ha segnato una svolta, riducendo gradualmente le atrocità e ponendo fine al commercio disumano dei corpi.

Oggi, mentre la storia dell’Olocausto Brasiliano viene portata alla luce, dobbiamo confrontarci con la nostra umanità perduta. La memoria di Colônia è un monito contro l’indifferenza e un appello a un impegno costante per la giustizia e la dignità umana. Solo ricordando e condividendo queste storie dimenticate possiamo sperare di evitare che simili orrori si ripetano.

Dott.ssa Francine Arioza

Suggerimenti di lettura in merito all’articolo sull’olocausto brasiliano

Nell’esplorare le vicende oscure dell’Olocausto Brasiliano, vi invito a considerare alcune letture che arricchiscono il contesto della storia. In particolare, potrebbe essere interessante dare uno sguardo al mio libro “Il libro nero del Brasile. Storie brasiliane di serial killers, omicidi, sette religiose e altri fatti cruenti“. Questo testo offre una prospettiva dettagliata e approfondita sugli eventi cruenti che hanno segnato il Brasile, offrendo un’ampia panoramica dei lati più oscuri della sua storia.

Inoltre, vi consiglio di esplorare l’articolo intitolato “Sette religiose nel mondo: dall’isolamento all’apocalisse, un’analisi approfondita“. Questo approfondimento offre uno sguardo globale sul fenomeno delle sette religiose, esplorando le loro varie sfaccettature, dai controversi insegnamenti sulla fine dei tempi alle differenze tra quelle ampiamente accettate e quelle più oscure.

Per un ulteriore approfondimento sulla tematica antipsichiatrica, potrebbe risultare illuminante leggere l’articolo della dott.ssa Veronica Caroccia, disponibile al seguente link: Antipsichiatria e dottrina antipsichiatrica: l’esperimento di Villa 21. Questo articolo fornisce uno sguardo dettagliato sull’esperimento di Villa 21, creando una connessione interessante con le problematiche trattate nell’Olocausto Brasiliano.

Spero che queste letture aggiuntive possano offrire una comprensione più approfondita e sfaccettata dei temi discussi nell’articolo principale, aprendo la porta a ulteriori riflessioni sulla storia e sulla società.