Caro lettore o cara lettrice
ti chiedo scusa se ho abbandonato la costanza di scrittura che avevo inizialmente.
Come ben sai ho intrapreso questo ruolo di “formatore”, ispiratomi proprio da questo blog, e il tempo sembra sempre scivolare via.
Tuttavia, oggi mi prendo un po’ di spazio bianco e mi dedico esclusivamente a te.
Non mi ero reso conto che avessi delle aspettative da parte tua, pensavo di scrivere prevalentemente per me stesso.
Oggi ti parlo di una giornata bellissima passata la scorsa domenica con una ventina di ragazzi di un’associazione per cui faccio volontariato, nella quale ho raccolto tra i tantissimi spunti un insegnamento di cui ti voglio parlare.
Mi trovavo in un piccolo paesino nelle Marche per replicare il corso di Sensibilizzazione & Public Speaking di cui ti ho parlato qualche articolo fa.
I feedback sono tantissimi come tantissime sono state le emozioni messe in gioco dai ragazzi partecipanti.
Alla fine di ogni giornata di lavoro condiviso, faccio sempre fare un “debrifieng”, a mio avviso il momento più importante, ovvero lascio che ogni partecipante e ogni membro dello staff esprima con poche parole cosa ha imparato dalla giornata, cosa ha messo in gioco, cosa gli è piaciuto e cosa non gli è piaciuto.
Durante questo momento, una ragazza ha avuto una forte crisi di pianto.
Non era un pianto liberatorio nè di gioia, era un pianto spesso strozzato accompagnato da parole di forte giudizio verso sé stessa.
Non c’erano parole o gesti da parte di nessuno dei presenti che riuscissero a calmarla.
Ad un certo punto le ho chiesto di respirare in quel dolore e di lasciare che lo vivesse, senza reprimerlo e smettendo di parlare.
È stato difficile perché continuava a trattenere il respiro, ma ho insistito simulando il respiro, a bocca aperta e “con la pancia”, insieme a lei.
Piano piano, ma molto piano piano, si è calmata.
Ha iniziato a respirare da sola a bocca aperta ed è uscito da solo un grandissimo sorriso, come quello di una persona che finalmente aveva espresso e lasciato andare, forse solo in parte e solo momentaneamente, quel dolore represso.
Non so dirti se questa persona dal giorno dopo sia tornata a ad avere pensieri auto-giudicanti e soffocanti, ma sicuramente IN QUEL MOMENTO respirare è stato l’unico modo per affrontare e vivere quel dolore.
Ho parlato di questo evento con tanti amici, cercando pareri che potessero aiutarmi a trovarci qualche altro significato, e quello che è emerso è che non è per niente facile entrare in contatto con quel dolore, e che se non fosse stato per i contesto e per il bellissimo gruppo formatosi durante la giornata, questa ragazza non avrebbe permesso a nessuno di dirle cosa fare con quella brutta sensazione.
In ogni caso voglio lasciarti una piccola strategia, nel caso ti riuscisse anche da solo/sola contattare quelle emozioni:
Spegni il telefono
Spegni la musica
Pensa a quello che ti fa male
Respiraci dentro, a bocca aperta con grosse inspirazioni e espirazioni
Senti un po’ che ti dice: ASCOLTALO! Non aver paura, è un’emozione! e come tutte le emozioni ha un inizio, un picco, e una fine! (un po’ come un grafico cartesiano). Se lo ascolti e ci respiri dentro finirà presto! ma se continui a soffocarlo e a reprimerlo ti continuerà ad accompagnare per tutta la giornata.
E poi lascialo andare CON AMORE, come un vecchio amico che è passato a trovarti e abbracciarti dopo un brutto evento.
Sono convinto che ti voglia dire qualcosa di importante…
Non sottovalutare il potere educativo e liberatorio del dolore! Se ascoltato, è un validissimo alleato!
Ti abbraccio forte e ti prometto che sarò più presente.
A presto!
Niccolò Di Paolo
foto made by djake08 https://www.instagram.com/djake08/