“…chi s’accontenta gode, così così!
certe notti sei sveglio
o non sarai sveglio mai!”
Avrei voluto cominciare il mese di Maggio affrontando per la prima volta il concetto di Empatia, tuttavia, gli eventi mi pongono costantemente di fronte ad un bivio che sento il dovere e il piacere di condividere.
Questo è un momento bellissimo della mia vita, tantissimi risultati stanno venendo fuori dall’impegno di una vita nel dedicarmi alle persone e allo studio comportamento umano, e mai sono stato così fiero e orgoglioso di me.
Riflettendo sul fatto che ci sono voluti tanti tanti sacrifici e sforzi per essere la persona che sono, mi sta sorgendo un quesito:
“E se non fosse adesso il momento di raccogliere quanto seminato?”
Ad esempio, se io fossi un musicista principiante e volessi acquisire elevate capacità di “far musica” probabilmente per i primi 10/15 anni di studio dovrei concentrare il 99% del tempo ad esercitarmi e imparare tecniche nuove e l’1% a mostrare al pubblico il frutto del mio lavoro.
Dopo questi 15 anni probabilmente possiederei una conoscenza tecnica di questo strumento piuttosto elevata a tal punto da poter far fruttare la mia qualità e la mia capacità con l’insegnamento dello strumento stesso oppure con l’esibizione in concerti o altri eventi.
Se così fosse però l’insegnamento, o più semplicemente il lavoro in generis, toglierebbero tempo al mio studio e quindi probabilmente rallenterei o addirittura fermerei la mia crescita musicale.
Penso di essere arrivato al punto.
“Quando è il momento di raccogliere i frutti dell’albero della vita?”
“Se invece di fermarmi dopo 15 anni di studi mi fermassi dopo 30, quanta conoscenza, amore, bellezza musicale e arte riuscirei a trasmettere grazie alle maggiori capacità apprese?”
Siamo la generazione del tutto e subito, figli di internet e degli smartphone, e secondo me questo dover aspettare è un concetto che difficilmente impareremo.
Ci sono mestieri, come il ricercatore, dove la crescita e la condivisione di sé (per esempio attraverso nuove scoperte) vanno di pari passo. Ma chi invece, come me, fa delle conoscenze la sua vera arte,
“Quando lo studio di queste conoscenze deve fare spazio all’espressione delle stesse?”
L’ unica risposta che ho ricevuto in questi giorni è stata “una via di mezzo”.
Ok, allora ti pongo un altro quesito:
“Quanto del tempo della giornata va dedicato all’una o all’altra espressione della vita?”
Sono consapevole che non esista una risposta che vada bene per tutti, tuttavia questa domanda apre ad un ventaglio di scenari possibili che sono applicabili su chiunque.
La cosa buffa è che da quando mi è venuto in mente questo quesito non ho trovato alcun film o libro o opera teatrale che lo descrivesse o ne parlasse. Tu ne conosci qualcuno?
Ti lascio una bellissima canzone del buon vecchio Lucio.
A prestissimo!
“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi
ritrovarsi a volare
e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare
un sottile dispiacere
E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire
dove il sole va a dormire
Domandarsi perche’ quando cade la tristezza
in fondo al cuore
come la neve non fa rumore
e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte
per vedere
se poi e’ tanto difficile morire
E stringere le mani per fermare
qualcosa che
e’ dentro me
ma nella mente tua non c’e’
Capire tu non puoi
tu chiamale se vuoi
emozioni
tu chiamale se vuoi
emozioni…
Uscir dalla brughiera di mattina
dove non si vede a un passo
per ritrovar se stesso
Parlar del piu’ e del meno con un pescatore
per ore ed ore
per non sentir che dentro qualcosa muore
E ricoprir di terra una piantina verde
sperando possa
nascere un giorno una rosa rossa
E prendere a pugni un uomo solo
perche’ e’ stato un po’ scortese
sapendo che quel che brucia non son le offese
e chiudere gli occhi per fermare
qualcosa che
e’ dentro me
ma nella mente tua non c’e’
Capire tu non puoi
tu chiamale se vuoi
emozioni
tu chiamale se vuoi
emozioni”
Niccolò Di Paolo
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