Suicidio assistito: Taylor e Jonas a confronto tra Soggettivismo morale e diritto di vita e di morte

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Il suicidio assistito è l’atto del porre fine alla propria esistenza in modo consapevole mediante l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci da parte di un soggetto che viene “assistito” da un medico.

Affrontiamo il tema dal punto da due punti di vista: uno più filosofico (Taylor) e uno più Sociologico (Jonas)

Ancona, Tetraplegico da 10 anni avrà suicidio assistito in Italia: è il primo caso

23 novembre 2021

Mario, camionista marchigiano di 43 anni, tetraplegico immobilizzato da 10 anni dopo un incidente stradale, è il primo malato a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia. Dopo un iter di 13 mesi, il Comitato etico dell’azienda sanitaria marchigiana, formato da un’equipe di medici e psicologi, ha verificato la sussistenza di tutte e quattro le condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale

https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/suicidio-assistito-primo-si-b7cabbb2-2859-4567-93b7-ce85659e8f68.html

Queste sono:

  • Mario è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale;
  • è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili;
  • è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli;
  • e non è sua intenzione avvalersi di altri trattamenti sanitari per il dolore e la sedazione profonda.


https://www.lastampa.it/cronaca/2021/11/23/news/morte_assistita_di_mario_il_legale_forniremo_dettagli_sul_farmaco_da_utilizzare_-622859/

11 febbraio 2022

Suicidio assistito ad Ancona: deciso il farmaco per Mario. “Sarà lui a stabilire tutto”. Al 44enne tetraplegico marchigiano verrà somministrato il Tiopentone. L’Associazione Luca Coscioni: “E’ una svolta storica”. 

https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/suicidio-assistito-mario-1.7352829

Differenza tra eutanasia, suicidio assistito, sospensione dei trattamenti, accanimento terapeutico e sedazione palliativa

Prima di poter analizzare e riflettere sull’evento specifico è necessario comprendere dettagliatamente cosa sia il suicidio assistito, come si differenzi dalle altre procedure di “induzione” della morte in un contesto sanitario e perché è fondamentale avere chiarezza a 360° prima di potersi porre domande o trarre conclusioni.

Suicidio assistito

Il suicidio assistito è l’atto del porre fine alla propria esistenza in modo consapevole mediante l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci da parte di un soggetto che viene “assistito” da un medico (in questo caso si parla di suicidio medicalmente assistito) o da un’altra figura che rende disponibili le sostanze necessarie. Di regola avviene in luoghi protetti dove soggetti terzi si occupano di assistere la persona per tutti gli aspetti correlati all’evento morte (ricovero, preparazione delle sostanze, gestione tecnica e legale post mortem).

Nel suicidio assistito il ruolo del sanitario si limita alla preparazione del farmaco che poi il paziente assumerà per conto proprio.

Eutanasia

Diversamente, l’eutanasia non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta. Essa richiede un’azione diretta di un medico che somministra un farmaco, di norma per via endovenosa.

(clicca qui per leggere l’articolo completo sulle differenze tra suicidio assistito ed eutanasia)

Sospensione dei trattamenti o Eutanasia passiva

La sospensione dei trattamenti viene spesso equiparata ad una forma di eutanasia passiva, come se la scelta di rinunciare al trattamento implicasse sempre la volontà implicita di morire. In realtà porre attivamente fine alla propria vita è assai diverso rispetto a scegliere di rinunciare ad un trattamento, che è infatti è consentito in tutti i paesi europei, a differenza dell’eutanasia.

In questi casi si può parlare anche di accanimento terapeutico.

Accanimento terapeutico

L’ostinazione nell’impartire trattamenti sanitari che risultano sproporzionati in relazione all’obiettivo terapeutico. La locuzione è utilizzata quasi esclusivamente in Italia, mentre negli altri paesi si usa il termine di terapie futili o inutili.

https://www.treccani.it/enciclopedia/accanimento-terapeutico_%28Dizionario-di-Medicina%29/

Sedazione palliativa

La Sedazione palliativa, invece, è la riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo, altrimenti intollerabile per il paziente, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo che risulta quindi refrattario.

Quest’ultima è quella sostenuta dal vaticano

“La materia delle decisioni di fine-vita costituisce un terreno delicato e controverso”. “La strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative, che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con l’équipe curante”.

https://www.repubblica.it/vaticano/2021/11/23/news/vaticano_suicidio_assistito_cure_palliative-327519829/

Nell’eutanasia e nel suicidio assistito l’intenzione è di porre termine alla vita, nel caso della sedazione palliativa è di dare sollievo dalla sofferenza.

Tre esempi esteri

In Italia non è possibile effettuare né eutanasia né suicidio assistito. La diffusione di queste pratiche nel resto del mondo, invece, è piuttosto varia.

In Olanda

In Olanda l’eutanasia è legale dal 2002 e il suicidio assistito dal 2004, anche ai minori di età superiore ai 12 anni, purché con il consenso dei genitori fino ai 16 anni. Nei Paesi Bassi devono sussistere una serie di condizioni, tra cui la piena e consapevole volontà di porre fine alla propria vita e la sussistenza di sofferenze insopportabili, nonché l’assenza di un’alternativa ragionevole.

In Usa

Anche negli Usa l’aiuto a morire è consentito, ma solo in alcuni stati come New Jersey, Washington State e Oregon.

In Svizzera

Nella vicina Svizzera è consentito solo il suicidio assistito, le richieste sono almeno quintuplicate dai primi anni 2000 ad oggi, a causa della vicinanza geografica con l’Italia e della relativa accessibilità della pratica, che hanno indotto anche molti nostri connazionali a scegliere questo territorio per l’assunzione del farmaco letale.

(clicca qui per leggere l’articolo dove sono presenti questi dati)

E in Italia? Quale è la posizione ufficiale del comitato nazionale di bioetica?

18 luglio 2019

Nel suo documento “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito”, il Comitato nazionale di bioetica ha ribadito l’impossibilità di assimilare le due pratiche, ma anzi ha evidenziato il ruolo delle cure palliative in termini di alternativa alla scelta di percorsi eutanasici, sottolineando che, prima di considerare per chiunque l’accesso a interventi di anticipazione del morire, debbano essere offerti specifici percorsi palliativi, che ogni paziente è libero di accettare o rifiutare. In questo modo si potrebbe impedire che scelte di morte medicalmente assistita siano la conseguenza di un abbandono o comunque di un’inadeguata assistenza sanitaria, specie riguardo al sollievo della sofferenza.

https://bioetica.governo.it/it/pareri/pareri-e-risposte/riflessioni-bioetiche-sul-suicidio-medicalmente-assistito/

Il Comitato, in suddetta data, affrontava il tema dell’aiuto al suicidio a seguito dell’ordinanza n. 207/2018 della Corte Costituzionale, la quale intervenne sulla questione sollevata dalla Corte di Assise di Milano (ordinanza 14 febbraio 2018) in merito al caso di Marco Cappato e alla sospetta illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale.

Il parere, pur intervenendo sulla ordinanza in modo specifico e inquadrandola nel contesto normativo dell’ordinamento italiano, affronta il tema del suicidio assistito sul piano generale.

È proprio in questa data e in questa sede che vengono discusse le quattro condizioni poi successivamente stabilite dalla corte costituzionale due mesi più tardi.

corte costituzionale

25 settembre 2019

Il suicidio assistito entra nell’ordinamento italiano con una sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019. Non con una legge del Parlamento, ma con una sentenza della Consulta.

«La Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

https://www.corriere.it/cronache/21_novembre_23/corte-costituzionale-suicidio-assistito-parere-1c793da2-4c32-11ec-93ad-d9e7f28c53fe.shtml

Se volete leggere la comunicazione ufficiale del comitato nazionale di bioetica, qui di seguito trovate il link

https://bioetica.governo.it/it/comunicazione/notizie/riflessioni-bioetiche-sul-suicidio-medicalmente-assistito/

Suicidio assistito: Il ruolo dell’etica e l’importanza di considerare la morale

Etica” e “morale” vengono utilizzate come sinonimi, ma ciò non è pienamente appropriato.

“Etica” deriva dal greco ethos, che sta a significare il comportamento che l’uomo apprende dall’ambiente socio-politico in cui vive.

“Morale” è un termine latino, da mos, all’incirca il corrispettivo del greco ethos. Pur partendo dallo stesso significato etimologico i due termini hanno seguito percorsi linguistici divergenti. Con il termine “morale” si intende un comportamento valutabile in termini di valore e di conformità. Un concetto assimilabile al “buon costume”.

L’etica – che Aristotele sancì essere una scienza pratica – si occupa dei comportamenti umani, ma non di tutti; in quanto scienza pratica studia solamente la praxis, ossia l’azione pratica, il cui fine è esterno all’azione. L’etica di Aristotele è un’etica eudaimonistica finalizzata alla felicità, alla “vita buona”. La felicità consiste per l’uomo nel realizzare al meglio le potenzialità della sua natura.

La morale, quindi, è la soluzione a portata di mano in attesa della formulazione scientifica dell’etica.

Uno sguardo al passato sul concetto di etica

Kant, in merito, postula l’esistenza di Dio come garanzia di felicità per chi segue l’etica del dovere. L’etica kantiana si configura come etica formale e deontologica, ma il postulato dell’esistenza di Dio risponde ad istanze teleologiche, necessarie perché maggiormente “persuasive” rispetto a quelle deontologiche.

https://www.iurisprudentes.it/2015/09/09/etica-e-morale-differenze-analogie-puntualizzazioni-lessicali-per-una-corretta-analisi-quale-destino-nel-deserto-del-nichilismo/

Nella cultura occidentale si è poi rivelata la posizione indiscutibilmente dominante dell’etica cristiana, almeno fino all’Ottocento, quando Schopenauer ipotizzò un’etica della pietà.

L’etica cristiana per ovvie ragioni si è sempre identificata con la morale, proprio perché in quanto etica “cristiana” era specificatamente riconosciuta da una comunità (religiosa) ed assumeva quindi i caratteri di “morale”.

Mentre l’etica in quanto scienza ha pretese di universalità, la morale si presenta come transitoria. Se “morale” è un comportamento riconosciuto da una comunità, quello che è morale oggi potrebbe non esserlo tra qualche anno se la comunità di riferimento avrà rinnovato le sue usanze.

Sulla base di questa riflessione possiamo porre in analisi due concetti: la soggettività morale di Taylor, e sul soggettivismo morale di Jonas

Jonas: diritto alla vita e diritto alla morte

Nel suo libro “Tecnica, medicina ed etica”, Hans Jonas affronta la tecnica generale prima, e la medicina poi (definita da Jonas arte perché necessita di interpretazione) dal punto di vista etico.

Partendo dalla “tecnica”, i ruoli dell’etica sono molteplici:

  • comprendere l’ambivalenza degli effetti di una determinata facoltà. Questa potrebbe essere “buona” in sè ma abusandone potrebbe diventare “cattiva”, oppure cercare di comprendere e prevedere i possibili effetti negativi a lungo termine);
  • valutare l’improprio utilizzo di tutto ciò che si conosce e si scopre (da Jonas definita inevitabilità dell’applicazione);
  • comprendere e valutare le proporzioni globali nello spazio e nel tempo che implicano le scoperte tecniche nei giorni nostri;
  • comprendere la responsabilità cosmica che l’uomo ha di ogni sua scoperta (conseguente alla “rottura dell’antropocentrismo”);
  • e, soprattutto, rispondere all’interrogativo “perché ci deve essere vita?”.

Per l’etica è impensabile che la biomedicina rinunci a far calare la mortalità infantile nei paesi del terzo mondo, anche se potrebbe generare problemi di altre entità come la sovrappopolazione.

Rispondere a quest’ultima domanda significa dare importanza al diritto di morire tanto quanto darla al più consueto diritto di vivere. Vivere è un dato di fatto deciso dalla natura, ma il fatto di esistere determina anche dei diritti. In ambito sociale, il diritto base di ogni legislazione, è il diritto alla vita. La questione diritto di morire, invece, si pone nel momento che il mio morire dipende da una scelta.

Dal punto di vista giuridico

Dal punto di vista giuridico, un paziente può chiedere la sospensione del trattamento (eccetto durante una fase critica, nel caso di malattie altamente contagiose o se minorenni o malati mentali), ma nel caso di suicidio è permessa una breve intromissione di terzi per dare una seconda possibilità di ripensamento al suicida. In merito, Jonas afferma anche che se il suicida è convinto, prima o poi lo farà a prescindere dall’accompagnamento medico o meno.

Il diritto alla propria vita include anche il diritto alla propria morte, con la coscienza concreta del suo incombere. Il lasciar morire dovrebbe essere libero da ripercussioni legali e professionali (il dottore, invece, per etica medica non può concorrere all’eutanasia).

Nel nostro caso specifico, Mario è riuscito a “convincere” il comitato etico dell’azienda sanitaria marchigiana dopo un iter di 13 mesi, una volta verificato la sussistenza di tutte e quattro le condizioni stabilite dalla Corte costituzionale. Ci sorprende che sia il primo caso in Italia, ma niente di tutto ciò è andato a scontrarsi con il naturale evolversi della società umana. Lo dimostra che in altri paesi occidentali tra i quali alcuni stati Usa e in Svizzera il suicidio assistito è già in vigore da tempo, mentre in Olanda è legale anche l’eutanasia dal 2002 (vidas.it)

Taylor: il soggettivismo morale

Nel suo libro “Il disagio della modernità”, Taylor parla di ideale di autenticità oscurato dal “soggettivismo morale”.

Il soggettivismo morale è l’insieme delle posizioni morali non fondate sulla ragione o sulla natura delle cose ma adottate perché ne veniamo attratti. Questo genera una conseguente incapacità di comprenderne i dilemmi attraverso la mera ragione.

Recuperare l’ideale di autenticità credendo che l’autenticità sia un ideale valido (rifiutando il soggettivismo morale), agendo secondo ideali morali e dialogare su questo credendo che questi argomenti possano fare la differenza sono i principi sui quali si fonda la teoria di Taylor.

Ma il soggettivismo morale per Taylor non ha una mera accezione negativa. Questo lo si nota quando nel suo libro il filosofo canadese analizza il concetto di “relativismo superficiale” proposto da Bloom nel suo libro “La chiusura della mente americana“.

Questo comportamento fu analizzato dal filosofo americano sulla gioventù istruita del 1987 nel suo libro “La chiusura della mente americana”, in cui riporta come gli studenti ritenevano che “ognuno possiede i propri personali valori e che non vanno giudicati quelli degli altri”. Per la sub cultura universitaria di quegli anni, secondo Bloom, i valori erano questione di scelta individuale e personale.

Perchè il soggettivismo morale di Taylor non ha un’accezione negativa (come per Bloom)

Come detto precedentemente, Taylor non commenta il comportamento come meramente negativo, poiché proveniente da un secolare ideale di libertà trasformatosi nel corso degli ultimi 200/300 anni.

Se applicassimo il “relativismo superficiale” di Bloom e il “soggettivismo morale” di Taylor al moderno concetto di suicidio assistito, potremmo dedurre che nell’accettazione dei valori altrui farebbe parte anche l’accettazione della decisione di scelta sulla propria vita esente da un’etica condivisa.

Nel caso specifico, il punto di vista sociale si dibatte sul suicidio medicalmente assistito. Tuttavia, il fatto che le richieste di suicidio medicalmente assistito in Svizzera dai primi anni 2000 ad oggi siano quintuplicate (a causa anche della vicinanza geografica con l’Italia che invece non lo permetteva prima del 2019) è un dato che dimostra come la costante sottile scomparsa in occidente di molti comportamenti in linea con l’etica cristiana generi nuovo materiale per l’etica contemporanea. (fonte vidas.it)

La morale individuale si discosta sempre di più dal “senso del tutto e del più grande” che invece contraddistingueva il pensiero sociale fino ai movimenti del ’68, e questo lo riporta anche Taylor nel suo libro a proposito dello sviluppo della libertà nel secolo scorso.

Riflessioni e conclusioni

Riassumendo, il ruolo dell’etica sulla questione suicidio assistito è complesso e arduo, visti i tanti agenti in gioco e vista la culturale difficoltà (di origine culturale cristiana) ad accettare la morte altrui. D’altra parte, la morale influenzata dal relativismo superficiale e dal soggettivismo morale si sta allontanando sempre di più dall’etica comune, e questo non può non essere preso in considerazione. Come visto precedentemente, in occidente fino a metà ‘800 l’etica cristiana si è fusa e confusa con la morale.

Un altro aspetto da considerare è che il concetto stesso di morte assume valenze differenti a seconda della cultura e della regione geografica di provenienza. Un semplice esempio è la religione buddista che vede la vita dopo la morte come una trasformazione di energia in un altro corpo facendo della morte un passaggio meno “crudele” di quello cristiano. Ne consegue che, in un contesto multiculturale e globalizzato come quello moderno, non possiamo imporre alle persone di non avere una propria idea sulla vita e sulla morte che trascenda dalla visione comunemente accettata e che, magari, possa essere stata influenzata dallo scambio con altre culture.

Il dilemma morale “tollerare il dolore o lasciarsi morire”, infine, dovrebbe tenere conto anche dell’aspetto ambivalente del dolore tissutale rispetto al dolore emotivo. Inoltre, andrebbero considerate anche la soggettiva percezione del dolore e il concetto di sofferenza psichica, il quale si discosta dalla mera biologica e neurologica definizione di dolore.

Sulla base di quest’ultimo mi viene spontaneo concludere, citando in parte Jonas, con una questione: “di chi è il compito di giudicare il dolore e la sofferenza altrui?”

Dottor Niccolò Di Paolo

SUGGERIMENTI di letture di filosofia contemporanea IN RELAZIONE ALL’ARTICOLO SUL suicidio assistito”

Se ti è piaciuto questo articolo ti suggerisco di leggerti i 4 articoli sul libro “Il Disagio della Modernità” di Charles Taylor