Sindrome di Medea: analisi dei labirinti dell’Amore Distorto

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L’esperienza stante al diventare genitori si rivela da sempre uno choc emotivo e psicologico. I poli dualistici di amore e odio generati da questo trauma si rivelano spesso compromettenti per la salute mentale dei genitori, specie per le madri.

In questo articolo si analizzeranno i fattori scatenanti la così detta Sindrome di Medea, la malattia labirintica dell’amore distorto, e delle possibili prevenzioni.

sindrome di medea: storia ed Etimologia

Col termine “Sindrome di Medea” ci si riferisce a quel disturbo psicologico che può colpire una madre, portandola ad uccidere il proprio figlio.

Il nome di questo complesso viene dalla figura mitologica di Medea. Essa uccise i propri figli per vendicarsi dell’abbandono del marito Giasone, deciso a sposare un’altra donna.

Già nel 1927 lo storico Giuliano Ferrero, insieme al sociologo Cesare Lombroso, definiva questo complesso come:

“(…)un bisogno di vendicarsi sul bambino del marito infedele da parte delle mogli”.

Questo atto può facilmente giustificarsi con l’idea di potere che era diffusa in passato. Si pensi ai contesti di patriarcato e strutture familiari piramidali, come quelli che hanno caratterizzato le famiglie nella loro totalità fino a qualche ventennio fa.

La sete di giustizia si appagava, così, verso il pater, avente poteri civili e giuridici.


L’etichetta di “sindrome“, riportabile ad un disturbo mentale, è stata coniata solo nel 1988 dallo psichiatra britannico Phillip J. Resnick. Con il termine si voleva descrivere un disturbo mentale che porta una madre a commettere un infanticidio.

Questo passo ha segnato il riconoscimento dei fattori primari scatenanti questo gesto. Discostandosi da cause di vendetta calati in setting patriarcali, esso ha favorito il riconoscimento delle cause psicologiche.

medea, eros e thanatos: quando l’amore diventa odio (Sindrome di Medea)

Fin dal concepimento, l’arrivo di un nuovo bambino introduce un inevitabile ambivalismo: amore e odio, vita e morte.
A partire dalla nascita avviene un distacco fisico definitivo col feto. Esso diviene bambino, portato in grembo per nove mesi, salvo casi di prematurità o problematiche secondarie.

Così facendo il bambino, dapprima astratto, si tramuta in vita e amore.

Durante questo arco di tempo è inevitabile che i genitori, in particolare la madre, fantastichino sulla natura del bambino. L’idealizzazione dell’aspetto e delle caratteristiche dell’essere madre, del rapporto e della modalità di gestione del fare genitoriale? Sono solo alcuni degli aspetti che mettono a dura prova l’emotività psicologica di una madre.

La sostituzione dell’idea con la realtà provoca un trauma simile ad un lutto. La gravità dello stesso dipende da fattori qualitativi e quantitativi dell’idealizzazione attuata. In questo lutto traspare una seconda idealizzazione: quella del ruolo di madre, a cui segue quella riferita all’immagine di sè come tale.

Il cambiamento dell’aspetto e dell’umore sono fattori inevitabili dopo l’esperienza del parto. Essi sono elementi non trascurabili che, calati in un contesto di choc emotivo e psicologico, segnano un ulteriore trauma esistenziale.

Ecco che l’amore – l’eros- si tramuta in odio – thanatos.

Odio giustificato dalla paura, dettata a sua volta dal ribaltamento fisico e mentale in una dimensione del tutto nuova ed inaspettata, specie per una neo-mamma.

medea in italia: l’infanticidio come reato

La commissione di un infanticidio, per quanto riguarda l’Italia, è un reato. La scelta della morte appare, troppo spesso, come l’unica soluzione ad uno status confusionale che pare, per chi lo vive, senza uscita.

Questa sorta di limbo non viene, tuttavia, giustificato nè moralmente nè a livello giuridico.

L’infanticidio viene definito dall’articolo 578 del codice penale come:

“la procurata morte del neonato immediatamente dopo il parto -o del feto, durante il parto -da parte della propria madre, quando il fatto è determinato da situazioni di abbandono materiale e morale connessi al parto”.

Così definito, nell’atto di infanticidio è la madre che causa la morte del figlio.

L’evento criminoso in questione dev’essere in relazione ad un abbandono materiale e morale dell’autore del delitto.

I padri, nell’articolo sopracitato non contemplati. Ciò nonostante essi, insieme alle madri, se commetto l’uccisione del proprio figlio all’infuori della condizione prevista dall’articolo 578 del codice penale, saranno imputati di omicidio.

Tuttavia, lo stesso regime legislativo non vige in tutti gli Stati.

storie di infanticidi leciti: da sindrome a cultura

Analizzando le culture vigenti nelle tribù africane e indiane, infatti, il neonato, essendo concepito come un essere umano non completo, è esente di diritti e doveri[1].

Così facendo, essendo ancora privo di capacità di intendere e volere, esso è maggiormente soggetto ad abbandoni del gruppo-società di cui fa parte. In questo fenomeno si affianca alle donne incinte e alle fasce deboli della popolazione, specie nei casi di invasione da agenti esterni.

Nella storia si sono osservati casi di figlicidio giustificato e incentivato dal governo anche al fine di arrestare progressivamente la crescita demografica.


È il caso della Cina negli anni ’70 e della sua “politica del figlio unico”.

Questo fenomeno causò, oltre a milioni di uccisioni di bambini, anche ad un loro abbandono. Accanto a ciò, anche la mancanza di cure e l’esplosione di aborti, soprattutto se si trattava di nasciture femmine.
Questo perchè ritenute minormente importanti, non essendo capaci di garantire la prosecuzione della discendenza.

Soggetti non accolti sono stati anche i gemelli.

Ad esempio, sempre in Venezuela, partorire due gemelli implica l’uccisione del figlio più debole o, in mancanza, della gemella femmina.

Douglas, nelle sue osservazioni antropologiche sull’Africa, ha rilevato come, nelle tribù presenti, partorire due gemelli sia considerata un’anomalia sociale. Questo giustificherebbe l’usanza per cui, dei due, uno viene di conseguenza ucciso.


oltre la cultura: tipologie di Sindromi di Medea

Vi è una tipologia di madre chiamata battering mothers che è solita abusare dei figli. Sono soggetti soliti a usare la violenza fisica in modo inadeguato e del tutto impulsivamente, dunque non preordinato.

Spesso sono madri con disturbi di personalità, scarsa intelligenza, aspetti depressivi. Tanti sono i casi in cui esse vivono in situazioni problematiche a livello familiare, di natura economica, spesso correlate ad un’alta percentuale di figli.

Questa tipologia si affianca a quella che include il tipo di madre che attua comportamenti omissivi verso la cura del figli.

Generalmente si tratta di donne affette da problemi psicotici o di angosce generate dall’avere un figlio. Questi malesseri generano una reale incapacità di tenerlo a bada e, di conseguenza, un sentimento di fallimento esistenziale.

Ecco che il figlicidio, in questi casi, si spiega con il transfert delle proprie inquietudini sul figlio.

Ci sono poi numerosi casi di madri che attuano un transfert sul figlio di tutti i vissuti tragici dell’adolescenza. Sono i casi di violenze subite da parte dei genitori, abusi familiari e extrafamiliari.

Le conseguenze comportamentali?

Fecalizzazione del neonato, il trasferimento della volontà di uccidere sè stessa, il marito o la propria madre al figlio.

Le cause sottostanti la Sindrome di Medea

Dagli esempi sopra elencati si può chiaramente dedurre che le cause primarie scatenanti un disturbo del proprio io sono i vissuti traumatici. Essi, si sottolinea, sono relativi alla prima infanzia o fanciullezza.

La madre, infatti, in casi come questo, viene portata ad attuare gli stessi comportamenti subiti in passato. Non solo. Anche ad avere una bassa autostima e una scarsa tolleranza alle frustrazioni, oltre che una identità materna negativa e una visione distorta del mondo esterno.

L’elemento del vissuto psicologico è qui centrale.

Non solo il tipo di attaccamento, ma anche l’amore ricevuto, il rapporto coi genitori ed il tipo di educazione ricevuta. Tutti elementi concorrenti alla formazione del fanciullo prima e dell’adulto dopo. Il sentimento legato alla maternità, derivante da questi fattori negativi, si incarna in una un’inadeguatezza della madre. Questo sfocia in comportamenti ostili verso il bambino, del tutto omissivi e subdoli. Non sempre, infatti, sono atti manifesti. Anche l’allestimento di un contesto ambientale negativo per la crescita del proprio figlio è una azione correlata a questo sentimento.

Inutile dirlo: è un cane che si morde la coda. La fanciulla abusata diverrà madre abusante di una figlia che, a sua volta, sarà portatrice di un amore distorto di sè e degli altri.

Ma com’è possibile che un atto così impuro non venga percepito per la sua natura?

Sicuramente è utile rilevare che, in queste situazioni, vi sono elementi clinici che compromettono progressivamente la stabilità mentale e cognitiva. Psicopatologie acute, situazioni emotive problematiche e abuso di sostanze voluttuarie sono solo alcune voci citabili.

Vi sono poi le manifestazioni di un disagio psichico a carattere depressivo con instabilità emotiva, ansia e irritabilità. E’ il caso del baby blues, o maternity blues, patologia che colpisce fino all’80% dei casi di neomamme. Accanto ad essa la depressione post-partum, che colpisce dal 7 al 12% esordendo tra la sesta e la dodicesima settimana post parto.

L’ascolto e la prevenzione come chiave di uscita dai Labirinti dell’Amore Distorto

Ascoltarsi. Ascoltare.

Due parole che nascondono una potenzialità di salvezza per le neo mamme.

Ascoltarsi. Ovvero: riconoscersi come essere umano, non invincibile. Non temere l’errore e lo sbaglio. Non voler essere super mamme a tutti i costi. Riconoscere, in questo processo, i cambiamenti interni a sè stesse. Cambiamenti inevitabili e meravigliosamente paurosi. L’accettazione, dunque, della paura fa parte anch’esso di questa presa di coscienza. Ascoltare. Ovvero: prendere parte a un insieme e riconoscersi in quanto parte dello stesso. Farsi forza grazie alla coesione sociale. L’integrazione è, in questo caso, cardine del divenire presente e futuro.

In quest’ottica, essendo la depressione un disturbo prevenibile, diventa estremamente importante implementare azioni integrate fra diversi settori. È opprtuno che ogni tassello componente della rete sociale si attivi al fine di favorire l’inclusione sociale e garantire il coinvolgimento dell’intera comunità.

Riconoscersi in vesti diverse dal super uomo, a cui tanto ambiamo sempre di più, quanto piuttosto in panni di un essere in divenire. Un essere calato in un tessuto sociale forte. Parallelo a questa accettazione c’è, infatti, una società molto attenta alle esigenze sempre nuove delle neo madri. Gli sportelli ascolto, come anche gli spazi ad esse dedicati, ne sono alcuni esempi.

Accanto ad essi vi sono, poi, i trattamenti che vedono la madre rapportasi con tanti operatori sanitari. Tuttavia, quello che permea è un senso di non totale presa in carico delle possibili sofferenze croniche vissute. Questa cecità, in modo inequivocabile, causa un deficit nei trattamenti.

I dati sono allarmanti…

Secondo i dati Eures[2], infatti, dal 2010 a oggi in Italia sono stati commessi oltre trecento figlicidi, di cui il 64% compiuti da padri. Il rapporto si capovolge se si fa riferimento preciso ai bambini uccisi ad un’ età inferiore di cinque anni: in questo caso, a compiere l’infanticidio è la madre nel 57,5% dei casi.

A valle della risposta umanitaria vi è una ragione che va oltre alla figura della madre. Oltre al presente, offuscato da ragioni depressive o maniacali, infatti, la mission è rivolta anche al futuro. Ai bambini.

Se diviene di primaria importanza tutelare le fasce vulnerabili, diviene ancora più fondamentale proteggere chi non ha voce. I bambini, in questi ambiti, non hanno capacità di intendere e divengono, così, vittime passive.

In assenza di azioni attuate dalla madre, per ragioni ovvie, sono i più piccoli ad divenire attori cardine.

L’osservazione e, ancora una volta, l’ascolto di essi si rivela la chiave risolutiva e preventiva di situazioni di abuso. Atteggiamenti restii alle risorse sociali e comportamenti eccessivamente timorosi verso il prossimo potrebbero essere indici di un malessere vissuto da essi. Accanto a questi, i disturbi alimentari, l’ipersessualità, l’attacamento evitante verso gli adulti di riferimento.

E’ di centrale importanza porre attenzione ai caratteri inusuali del vivere quotidiano tanto delle madri quanto dei bambini per il bene comune. Per il presente e per il futuro.

Dott.ssa Elisa Bellucci, pedagogista specializzata in ambito giuridico

[1] Bruhl L. L., in Anima primitiva, nd, 1927.
[2] https://www.eures.it/gli-ultimi-dati-eures-sul-figlicidio/ .

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