L’amicizia in psicologia: la forma d’amore che esclude il dominio sull’altro

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L’amicizia, in psicologia, è considerata un sentimento che nasce dall’incontro tra (almeno) due persone che, percependo interessi, valori e ideali comuni, stabiliscono interazioni fondate soprattutto su vicinanza, comprensione e fiducia reciproca.

«Ogni virtù ha bisogno di un solo uomo; ma l’amicizia ne necessita due». Montaigne, XVII secolo

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l’amicizia in psicologia

Nell’organizzare la vita psichica di ogni individuo così come la vita sociale dei popoli, l’amicizia partecipa contemporaneamente alla strutturazione delle dimensioni intrasoggettiva, intersoggettiva e trans-soggettiva.

L’amicizia è pertanto anche quella relazione che, in virtù dei suoi articolati intrecci e confini permeabili, aiuta le persone nella difesa dagli attacchi e dai tentativi, messi di norma in atto dai “Padroni”, di negare e sopprimere la solidarietà e la cooperazione presenti tra i membri di una società.

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Amicizia come fondamentale acquisizione dello sviluppo del bambino

Dell’infanzia, l’amicizia è tappa importante per superare lo stadio egocentrico e nell’adolescenza si realizza spesso in forma molto esclusiva.

Questo determinando un tipo di attaccamento simile all’amore che, in certi casi, può anche portare a crisi di gelosia o a forme d’amicizia particolari (come quelle a connotazione sessuale), che vengono così inevitabilmente esposte al rischio di un’improvvisa deriva distruttiva.

Di situazioni simili, guidate da affetti compulsivi, crudeli e provocatori, l’esperienza clinica ne è piena. Ma anche la mitologia e la letteratura lo sono; si ricordi, a tal proposito, l’amicizia piena di rivalità strazianti e tradimenti continui che Jean-Paul Sartre intrattenne con Merleau-Ponty e per la quale Sartre (1965) manifestò infine un profondo rammarico.

L’amicizia ben equilibrata

Quando invece ben equilibrata, l’amicizia è spesso intesa come un ‘non luogo’ di riposo, un rifugio accogliente che fornisce riparo dalle lotte e dagli scontri. Essa salvaguarda la persona dagli impeti originati nella realtà psichica e in quella esterna, andando a costituire un antidoto efficace contro l’insorgenza di rabbia e intolleranza.

Non vi è infatti vera amicizia se non quando si rispetta al contempo il diritto alla reciprocità, all’autonomia e all’accoglienza.

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L’amicizia in psicologia: forma d’amore che esclude il donimio sull’altro

L’amicizia è pertanto una forma d’amore che esclude il dominio sull’altro e la superbia. Essa celebra l’avvenimento di un dialogo in cui le differenze, lontane dal provocare offese, ritorsioni e furie narcisistiche, regalano la possibilità di uno scambio libero, d’ispirazione e creatività.

L’amico è come

«un altro se stesso che offre il co-sentimento di sentire che si esiste e si vive insieme, nell’avere in comune azioni e pensieri» (Agamben, 2005).

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Si tratta di una relazione privilegiata di tipo fraterno – ma non familiare e quindi non imposta da vincoli di consanguineità – in cui ci si emancipa dai desideri edipici e fraterni mossi dall’aspirazione fallica di arrivare a essere l’unico erede e il figlio prediletto di un padre-madre-Dio.

Dopotutto, l’amicizia contribuisce sempre all’incessante tentativo di elaborazione e superamento degli eventuali residui normali e patologici del narcisismo e delle dinamiche edipica e fraterna.

“Dio ci ha mandato gli amici per farsi perdonare di averci dato i fratelli” (detto popolare messicano).

Il complesso d’Edipo e il complesso fraterno risolti dall’incontro con l’amico o l’amica

Infatti, così come il complesso di Edipo e il complesso fraterno pongono un limite all’illusione di onnipotenza e di autosufficienza del narcisismo, così l’amicizia da un lato blocca la pulsione di dominio sull’altro (Bemachtigungstrieb) – pur non cancellandola né arrestandola, bensì tentando di condurla verso nuove mete meglio guidate dalle pulsioni di vita – e dall’altro lato disattende la fantasia dell’unicità, entrando in contrasto con il ripresentarsi delle relazioni sadomasochistiche intrasoggettive e intersoggettive.

Ciononostante, l’amicizia può comunque restare a qualche grado permeabile alle conflittualità narcisistiche e familiari.

Ecco che, allora, l’amicizia può offrirsi come un’alternativa per rimpiazzare, riparare e compensare funzioni genitoriali e fraterne deficitarie (“Gli amici sono una nuova famiglia”) agevolando l’elaborazione del complesso di Edipo, del narcisismo e del complesso fraterno.

L’amicizia come generatrice di energia narcisistica fondamentale

L’amico, dunque, alimenterebbe un apporto narcisistico fondamentale e necessario affinché la persona, nell’osservarsi attraverso lo specchio esogamico, riesca a costruire e a rinforzare i confini della propria identità.

Invero, come ci ricorda Freud (1926), l’amico, nella funzione di specchio esogamico, conferisce una conferma narcisistica.

Questo accade affinché la persona, specchiandosi in lui, consolidi una chiara coscienza della propria identità e, posizionandosi orizzontalmente a tutto ciò, renda possibile un allentamento del potere verticale esercitato dai genitori e dai fratelli.

L’amico o l’amica va così a sostituire, compensare, mitigare e a far fronte alla mancanza o all’eccesso di privazioni, castrazioni e frustrazioni.

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In questo modo viene favorito il confronto e la separazione dell’adolescente dai suoi genitori e dai suoi fratelli.

E tale processo rappresenta, secondo Freud,

«una delle operazioni più necessarie ma anche più dolorose dello sviluppo umano» (Freud, 1908).

Ma, se tutto si compie secondo un giusto ordine, l’amicizia favorirà la nascita di un campo intersoggettivo produttivo e dinamico in cui dialogare con l’Altro. In tal modo si può costruire legami solidali e affidabili a conferma del valore dell’esperienza umana della vita. La presenza dell’amico rende l’esperienza sopportabile e proficua in entrambe le realtà, quella psichica e quella esterna.

L’amicizia in psicologia: il ruolo dell’amico e dell’amica nelle costellazioni relazionali

Si può desumere che l’amico, inserito com’è nelle costellazioni relazionali, sia certamente una figura molto particolare, che si trova in genere ad agire come un alleato che accompagna, sdrammatizza, contraddice e aiuta allo stesso tempo la persona nei momenti di solitudine e sofferenza della vita.

Parallelamente, bisogna riconoscere però all’amico anche una funzione, nel campo intrasoggettivo, di carattere palesemente conflittuale: la presenza di un altro se stesso non consanguineo favorisce la conservazione dei sentimenti ambivalenti di amore e odio inevitabilmente connessi ai giochi di potere, il cui ritorno alla coscienza è talvolta censurato.

Dall’altra parte l’amico rinforza e arricchisce l’identità della persona.

Oltre a mettere in discussione i suoi presunti saperi e certezze l’amicizia introduce la preziosa possibilità di un “tra” all’interno del funzionamento psichico della persona. Questo rende possibile far fronte all’urgenza imposta dall’Io a causa dei suoi ospiti furiosi, ossia l’Es, il Super-Io, l’Ideale dell’Io e l’Io Ideale, e a quella proveniente dalle richieste della realtà esterna.

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L’amicizia in psicologia: L’amico come altro-sE-stesso non consanguineo

L’amico, questo altro-se-stesso non consanguineo, rende quindi possibile l’integrazione, la compensazione e l’elaborazione dei residui endogamici della persona. Egli lo conduce alla sua uscita verso l’esogamia, la socializzazione e la creatività, riuscendo a ridurre le differenze con il suo simile e ad avviare un genuino incontro empatico.

E se è vero che noi ci distinguiamo dagli animali anche per questa preziosa propensione e capacità a instaurare genuini rapporti d’amicizia fra gli uomini, ci si chiede se allora non esista, tra le nostre motivazioni profonde, qualcosa di morale.

Una specie di inclinazione all’amicizia tra gli uomini che controbilanci la primordiale spinta alla guerra di tutti contro tutti.

Qualche benevola passione sociale forse ci muove?

L’amicizia in psicologia a paragone con l’amore

Non a caso, per gli antichi l’amicizia era persino migliore dell’amore.

Ad esempio, secondo Aristotele, l’amicizia è una virtù o è accompagnata da virtù ed è la cosa più necessaria nella vita. Egli affermava altresì che ci fossero tre tipi di amicizia: per interesse o per vantaggio, per piacere e per virtù.

Quest’ultima sarebbe l’amicizia perfetta, quella degli uomini per bene e simili per virtù, perché essi si augurano il bene allo stesso modo. I primi due tipi di amicizia sarebbero invece occasionali e pertanto destinati a durare poco; il terzo sarebbe eterno e uno dei beni più importanti a cui l’uomo può aspirare.

L’amicizia è poi forse da inserire nella logica del dono, da intendere come generosità. Dal momento che non si ricava né si salva niente con questo tipo di relazione, se non la personale gratificazione affettiva, quel sentimento provato per l’impegno messo in ‘ciò che è umano per l’umano’ non è altro che generosità.

Questo poiché essa non è un atto deciso e iniziato grazie alla propria volontà e non si decide di essere amico di questo o di quello. Soltanto succede!

Si dà, ci si dà. In seguito, se ne possono certamente ricercare le ragioni per tentare di spiegarla, ma esse riguarderanno pur sempre qualcosa che è già successo.

L’origine dell’amicizia è poi riconducibile alla possibilità di lasciarsi scegliere; dipenderebbe quindi anche dalla propria disponibilità: quella di darsi, di dedicarsi, di arrischiarsi in una relazione, di aprirsi e lasciar entrare.

Poter donare amicizia significa avere una grande opportunità di reciprocità con chi ci cerca come amico; significa stare dalla parte di un altro essere umano, grazie al quale si arriva a essere più di se stessi.

L’amicizia in psicologia: uno sguardo al pensiero di Binswanger (Psichiatra)

Ludwig Binswanger, psichiatra, psicologo e filosofo svizzero, ha colto nell’amicizia una struttura essenziale della costituzione umana, la cui esistenza (Dasein) è sempre e originariamente una co-esistenza (Mit-dasein):

«L’essere-insieme-nell’amicizia è quel modo di essere nel quale l’esaltazione dell’amore si “rompe”, come la luce del sole nello spettro dell’arcobaleno, in diverse direzioni di significato» (1942, p.227).

Per Binswanger, la forma amicale si fonda sulla partecipazione (Mit-teilung) dove ciascuno prende parte (Teil) all’altro in tre possibili forme:

i) Il partecipare con qualcuno a qualcosa

dove il qualcosa della partecipazione non va cercato né nell’uno né nell’altro dei due, ma in un terzo elemento che è l’essere-nel-mondo nella forma specifica di essere- per-qualcosa. Questo qualcosa può essere la condivisione di un’idea, di un obiettivo, di una meta, di un viaggio, etc. La figura esistenziale che connota questa partecipazione è il “condividere”.

ii) Il parteciparsi qualcosa l’un l’altro

dove i due si scambiano dei contenuti rispetto ai quali i due possono rimanere non partecipi. Questa forma di partecipazione è regolata dalla figura esistenziale del “comunicare” (notizie, informazioni, etc.). Viene regolata senza un coinvolgimento dei rispettivi mondi interiori, ma desumendo il materiale della comunicazione dal mondo esterno.

iii) La partecipazione a un medesimo destino

che è la forma più autentica di amicizia, la quale non esclude le precedenti, ma le supera nella forma dell’essere-insieme (Miteinandersein), dove ciò che si scambia è il proprio mondo interiore (Innenwelt) nella figura esistenziale del “confidarsi”.

In questa forma di partecipazione, scrive Binswanger, «bisogna intendere il termine “parte (Teil)” nell’espressione “prender parte (Mit-teilung)” al tuo destino. Tale termine significa che io mi consegno con te allo stesso “ci (Da)” dell’istante che ci costituisce come “esser-ci” (Da-sein). Se io condivido con te questo “ci”, allora mi “decido”, mi “dischiudo” con te allo stesso destino» (ivi, p.252).

Da qui la conclusione:

«Non attraverso la partecipazione a un mondo comune gli amici prendono parte l’uno all’altro, ma, al contrario, nella reciproca partecipazione (Mit-teilung) degli amici si costituisce la comunità del mondo» (ivi, p.256).

Dottoressa Elena Tsoutsis

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About Elena Tsoutsis

Sono Elena Tsoutsis, nata nel febbraio del '96. In me un miscuglio di sangue greco e italiano.
Sono Danzaterapeuta, Psicologa Clinica e Dinamica, laureata all'Università di Firenze e scritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Emilia-Romagna.
Fin da piccola, grazie agli incoraggiamenti di mia madre, coltivo interessi artistici, quali la pittura, la musica, il teatro, la danza e studi letterari; tutti ancora oggi vivi in me. Per molti anni è stata però la danza classica a essere la mia passione principale, che mi ha permesso anche di avvicinarmi allo studio del pianoforte, che più avanti ho lasciato per studiare basso elettrico. Anche la mia fascinazione per la lettura non è mai svanita e tuttora mi spinge a comprare più libri di quanto la mia casa possa contenerne.
Questa passione è poi sfociata in un intenso amore per lo studio, di cui trovo grande esempio in mio padre. Le mie preferenze si indirizzano sempre più verso la saggistica inerente alla Psicologia e alla Psicoanalisi. È cosi che mi sono imbattuta nei libri di C. G. Jung: per me una folgorazione; il primo autore a regalarmi una visione privilegiata sulla realtà. Ed è per questo che oggi frequento la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Analitica Post Universitaria AION di Bologna.
Appassionata degli abissi psichici, provo molta fascinazione anche per il cinema d'essai.
Non essendomi mai trovata troppo a mio agio in questa società 'inquinata' (sia in senso letterale che metaforico) - che mi vorrebbe meno malinconica, meno introversa e meno sensibile, ma al contrario più allegra, leggera e conformata - ho sempre cercato nella scrittura un'opportunità per respirare e affacciarmi sul mondo; opportunità che ora trova una nuova via d'espressione anche in questo grande gruppo che è Gnōthi Seautón!
E per questo importante riconoscimento di me e delle mie caratteristiche è stata preziosa la vicinanza di mio fratello, per me così profondamente essenziale.

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