La prospettiva evolutivo-relazionale sul trauma infantile: il rapporto con la madre secondo Ferenczi e Winnicott

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Il trauma infantile è argomento di discussione di tutta la psicologia dinamica, dagli albori freudiani fino ai giorni nostri.

Ma la responsabilità materna sull’eventuale trauma dell’infante è stata affrontata prevalentemente da Ferenczi e Winnicott, anche se in modo diverso. Comprendiamo insieme i due punti di vista.

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Compito sempre estremamente complesso è quello di dare una definizione dell’itinerante concetto di trauma. Questo concetto, nel corso della sua storia, ha subìto molti ripensamenti, modifiche, ampliamenti e talvolta anche radicali stravolgimenti.

Lungi dal voler analizzare in questa sede tale concetto, esso dovrà tuttavia essere seguito nel suo inquadramento all’interno della prospettiva della genitorialità. In particolare, sarà il rapporto madre-bambino a essere indagato, alla luce però del concetto di trauma in chiave relazionale ed evolutiva.

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Ferenczi e Winnicott: il trauma infantile in relazione al rapporto con la madre

I riferimenti riguarderanno soprattutto i lavori di Sándor Ferenczi e Donald Woods Winnicott. Anche se in modi diversi, infatti, sono stati soprattutto loro (ma anche W. R. D. Fairbairn, M. Balint, H. S. Sullivan e J. Bowlby) a riportare per primi l’attenzione sull’origine traumatica infantile della gran parte delle patologie della personalità.

È possibile peraltro stabilire un parallelismo tra Winnicott e Ferenczi. Più precisamente, sulla scaturigine biografica della loro riflessione e del loro interesse riguardante la figura materna e la sua relazione col bambino. Questo perché entrambi soffrirono durante l’infanzia della mancanza di una ‘buona’ madre. Da qui lo slancio per i loro personalissimi studi, tanto che Winnicott – e la prospettiva di Ferenczi non è senz’altro dissimile – ha addirittura affermato che «il senso della propria vocazione» professionale è dipesa «dalla necessità di trovare e riconoscere una buona madre» (Borgogno, F., 2006).

il ruolo dell’attaccamento nel trauma infantile

Esplorare il ruolo dell’attaccamento è fondamentale poiché costituisce uno dei più potenti fattori di mediazione nella relazione tra trauma infantile e psicopatologia.

L’esperienza traumatica si presenterebbe infatti come la somma di più momenti di deprivazione materna, i cui effetti traumatici conducono alla rottura della continuità personale. Altro elemento chiave, in questo processo, è poi la vulnerabilità psichica, che trae origine da relazioni primarie genitore-bambino di tipo non contenitivo.

Una genitorialità sana è invece alla base di uno sviluppo sano della personalità.

Winnicott (1896-1971) parla di ambiente facilitante per definire l’insieme delle modalità con cui la madre dovrebbe svolgere la sua funzione di protezione dagli urti ambientali per difendere il suo bambino. E quando ciò non accade, può sopraggiungere il trauma.

In questa situazione, uno stimolo esogeno crea un urto in un equilibrio endogeno ‘precario’.

Ma in una situazione ottimale, la figura di riferimento primaria, solitamente la madre, è in grado di proteggere il bambino nel suo stato di assoluta dipendenza. Questo offrendogli la possibilità di integrare gli strumenti affettivi e di auto-supporto necessari a uno sviluppo sano.

«L’organizzazione dell’esperienza del bambino è preceduta dalle percezioni organizzate che la madre ha di lui e da essa dipende. La madre supporta, e porta il mondo al bambino» (Winnicott, D. W., 1960).

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Il ruolo fondamentale della ‘buona’ madre per Winnicott

La madre di cui parla Winnicott ha dunque proprio il compito di gettare le basi per un’integrazione delle funzioni dell’Io del bambino. Questo processo, chiamato accomodamento, messo in moto dalla madre al fine di sopperire alle esigenze del suo bambino, garantisce a quest’ultimo l’occasione di fare reale esperienza dello stato di onnipotenza, essenziale per il suo benessere.

Per Winnicott il bambino non può esistere da solo. Infatti, la sua esistenza è data dal rapporto che costruisce con la figura di accudimento primaria. Questa ha il compito di sostenerlo, contenerlo e aiutarlo nel suo percorso di vita.

Sempre secondo Winnicott, ad avere una valenza traumatica sono dunque proprio le scarse capacità di holding (sostegno, contenimento, supporto) e handling (trattamento) della figura di riferimento (nella maggior parte dei casi, la mamma).

È la famiglia a doversi adattare al bambino, e non viceversa – Il punto di vista di Ferenczi sul trauma infantile

Lo stesso concetto lo si può rintracciare anche in Ferenczi (1873-1933), nei cui lavori ritroviamo appunto il fondamentale concetto di capacità introiettiva della madre: condizione necessaria per permettere al figlio di sentirsi ‘reale’ e amato.

Ferenczi afferma anche che è la famiglia a doversi adattare al bambino, e non viceversa.

È interessante notare come nei lavori di entrambi gli autori sia descritta la stessa necessità di empatia da parte della madre. Empatia che, però, viene declinata in due situazioni differenti.

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L’importanza dell’empatia materna per Winnicott

Mentre Ferenczi parla della madre come ‘serbatoio’ di affetto e accettazione, Winnicott sottolinea la possibilità del bambino di fare esperienza di uno stato di onnipotenza. In un secondo momento, il bambino approccerebbe così una realtà che sfugge al suo controllo e che ha vita propria. Una realtà che è esistita prima, che tuttora esiste e che esisterà ancora dopo di lui.

Quando il bambino sarà gradualmente uscito da una situazione di assoluta dipendenza e comincerà a fare esperienza di un’assenza progressiva della madre, di conseguenza inizierà a concepire la possibilità della propria sopravvivenza senza di lei e a comprendere il suo prossimo stato di indipendenza.

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Lo ‘specchiarsi per riconoscersi’ di Winnicott

Questo processo può avvenire in maniera adattiva solo se la madre ha saputo essere adeguatamente responsiva nei confronti delle pregresse esigenze espresse dal suo bambino. Se ciò sarà avvenuto, il bambino si mostrerà capace di introiettare la madre dentro di sé e di essa saprà fare a meno in senso reale e fisico. Ciò sarà possibile perché il bambino sarà divenuto in grado di riconoscere il proprio Sé in base al feedback rappresentativo dato dalla madre agli stati d’animo, alle richieste e ai bisogni da lui espressi. Ed è proprio questa l’affascinante dinamica dello specchiarsi per riconoscersi.

Una madre capace di dedicarsi al figlio, è una madre che ha sperimentato già su se stessa tutto questo e che ha perciò acquisito una base sicura da cui partire. In questo modo, lei è a sua volta in grado di sostenere la totale dipendenza del figlio, esercitando poi un graduale de-accomodamento, ossia un aumento delle occasioni delle sue inadempienze, per farlo divenire sempre più indipendente.
Così facendo, a poco a poco, la madre potrà ritirarsi in una condizione più marginale, in docile e rispettosa attesa rispetto a eventuali e ulteriori segnali di bisogno del bambino.

Ma cosa accade quando questo ruolo fondamentale viene compromesso da una non-disponibilità materna?

Quando la madre è troppo invischiata nel proprio stato d’animo e chiusa nella rigidità delle sue difese, può non essere in grado di prendersi cura delle esigenze del figlio o esserlo solo in modo incostante, con il risultato di generare nel bambino un’affettività caotica.

La precocità o la ripetizione di esperienze di deprivazione materna – soprattutto nel periodo in cui il bambino vive uno stato di assoluta dipendenza nei confronti della figura primaria, che rappresenta il suo primo oggetto d’amore – si traducono in angosce traumatiche, cioè in vissuti emotivi ‘impensabili’, capaci di creare una profonda frattura nella continuità personale del bambino.

In queste circostanze, il bambino si trova a reggere il peso di una madre il cui volto è continuamente variabile e imprevedibile. Il bambino, di conseguenza, si vede costretto a prendersi autonomamente cura di sé e per questo a essere continuamente in stato di difesa verso una madre che gli impone di accantonare le proprie necessità. Il bambino cade così in una situazione in cui subisce al contempo il peso di se stesso e quello di un genitore sofferente. È quindi il genitore che ha bisogno di essere accudito. Si tratta in questo caso di un genitore che non ha saputo fornire al figlio nessuno degli strumenti necessari a sopportare un tale carico.

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Il processo di non rispecchiamento nel figlio ‘non accolto’ come generatore del trauma infantile

Il figlio ‘non-accolto’ riceverà dalla madre un ‘non-rispecchiamento’ dei suoi bisogni e per questo rimarrà incapace di accogliere e accettare il proprio .

In questo tipo di dinamica relazionale, il bambino impara via via a fondare il proprio senso di identità accondiscendendo alle richieste altrui. Inoltre, il bambino adempirà i bisogni di una madre che, oltre a non saper prendersi cura del proprio figlio, non sa prendersi cura neanche di se stessa.

Se questo è l’unico modo (palesemente sbagliato) esperito dal bambino per assicurarsi la vicinanza e l’affetto delle figure significative, molto probabilmente sarà perché queste ultime si trovano in evidente difficoltà psicologica e non riescono, loro malgrado, a fornire una convalida ai suoi stati emotivi. Sfortunatamente, questa ripetuta e totale incapacità della madre di sperimentare la cosiddetta preoccupazione materna primaria, provoca il sorgere di angosce. Ottimo materiale per l’insorgenza di disturbi psicotici.

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Il processo di identificazione del bambino nella madre ‘non sufficientemente buona’

Questa situazione, inoltre, non fa che costringere l’infante a una precoce crescita e responsabilizzazione che può, purtroppo, sfociare in un’identificazione del bambino nella madre. Ciò avviene quando si verifica un difetto di pulsioni della madre di fronte alle quali il bambino si è sentito costretto ad anticipare le sue richieste. Questo, invece, avrebbe dovuto farlo la madre nei confronti del piccolo.

Il bambino si crea di conseguenza un falso Sé che si occupa di soddisfare i bisogni altrui; un Sé che non ha potuto fare esperienza della sua onnipotenza e che si è formato in condizioni precarie nel tentativo di proteggere il vero Sé dagli urti esterni. Urti esterni da cui è però poco in grado di difendersi o per cui ha creato alcuni meccanismi di difesa. Questi meccanismi di difesa sono però purtroppo instabili e deboli e gli permettono di condurre una vita secondo una normalità solo apparente.

Per Winnicott l’esperienza traumatica risiede quindi nella somma di più momenti di privazione e la rottura della continuità personale. Questa porta ad una profonda scissione fra il vero Sé psicosomatico e il falso Sé mentale, creando l’incapacità, da parte del falso Sé, di svolgere le sue funzioni protettive nei confronti del vero Sé.

Sàndor Ferenczi, pioniere della psicoanalisi – Il Dizionario di Psicologia

La dinamica traumatica per Ferenczi

Ferenczi affronta la stessa dinamica nel suo saggio “Confusione delle lingue tra adulti e bambini: il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione” (1932).

Egli scrive:

«Vien fatto di pensare ai frutti beccati degli uccelli, che maturano più rapidamente o diventano più dolci, e così pure al precoce maturare dei frutti bacati» (Ferenczi, S., 1932).

Con ciò, Ferenczi intende dire che il trauma genitoriale è legato a un fraintendimento del messaggio di tenerezza del bambino da parte del genitore. Pertanto, questo provoca in lui – come per i frutti bacati – una maturazione precoce che può portare a gravi conseguenze per la salute psichica del bambino.

Ferenczi pone poi l’attenzione sulle conseguenze drammatiche che avvengono quando questi bisogni di protezione del figlio vengono fraintesi e sfruttati.

Warning signs of a toddler's language delay | BabyCenter

I bisogni fraintesi dell’infante

I bisogni fraintesi dell’infante si esprimono come richieste di amore adulto da parte del genitore (come quando, ad esempio, quest’ultimo si lascia andare ad atti sessuali abusanti).
Come per l’infante di Winnicott, il quale si identifica nella madre per anticipare i suoi bisogni, anche in questo caso il bambino impara a identificarsi nella figura dell’aggressore per preservare se stesso e mantenere la relazione con il genitore.

«Il fattore patogeno più forte [del meccanismo di identificazione] è l’introiezione dell’ansia e del ‘senso di colpa’ dell’aggressore nel bambino» (Buonanno, A., 2017).

Il bambino, dunque, non conoscendo altro linguaggio che quello della tenerezza, di fronte a una situazione di abuso risponderà ancora con la tenerezza. Il tutto introiettando dentro di sé il senso di colpa dell’aggressore. Questo meccanismo serve a preservare una figura il più possibile positiva del genitore e stimola nell’infante comportamenti compiacenti verso i desideri e i comportamenti dell’aggressore.

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Questa è una conseguenza del diniego

Il diniego, insieme alla rimozione, è probabilmente uno dei meccanismi psicologici di difesa più pericolosi.

Tanto più in situazioni come quella qui delineata, nella quale un bambino cerca di salvaguardare la figura del genitore a causa di un forte bisogno di dipendenza ancora presente verso quest’ultimo e per la difficoltà a rigettare una parte di sé insieme al rifiuto per chi lo ha messo al mondo.

Ciò che di grave avviene è una vera e propria violazione psichica del bambino da parte dell’adulto. Questi si comporta ‘come se’ nulla fosse successo, ponendo il bambino nell’impossibilità di farsene una rappresentazione.

Il trauma diviene così un evento né simbolizzabile né verbalizzabile, il che lo fa entrare nella sfera dell’indicibilità, motivo per cui sarà vissuto come un ‘vuoto senza parole’.

La frammentazione dell’io come difesa e come causa del trauma infantile

A questo punto, l’inevitabile conseguenza è una frammetazione della personalità come difesa dal terrore della sofferenza. Questa scissione e frammentazione della personalità è causata proprio dal fatto che il bambino si identifica nell’adulto e introietta dentro di sé l’evento traumatico.

Per Ferenczi, il trauma del meccanismo di identificazione con l’aggressore provoca una scissione narcisistica del Sé, in seguito alla quale si ha una parte danneggiata e una parte che è invece costretta a svilupparsi precocemente per prendersi cura dell’altra.

In questa situazione di scissione del Sè

«dal punto di vista psicopatologico possiamo trovare uno sviluppo di un attaccamento insicuro e la comparsa di comportamenti aggressivi» (Baldoni, F., in Crocetti G. & Zarri, A., 2008).

Il trauma infantile come origine della psicopatologia

In presenza di disturbi legati a un attaccamento insicuro del bambino o a comportamenti aggressivi è evidente che elementi fondamentali della relazione tra madre e bambino sono venuti a mancare.

Non per nulla Ferenczi afferma che il trauma relazionale rappresenta il fulcro della psicopatologia (sia infantile che adulta) e identifica inoltre il trauma proprio nelle ricorsive esperienze di noncuranza vissute dal bambino nel proprio ambiente familiare.

I genitori emotivamente trascuranti si distinguono infatti per il loro disconoscimento della realtà delle percezioni del bambino. E quest’ultimo, incapace di protestare, di sostenere l’impatto emotivo e di far fronte al proprio persecutore, reagisce con un atteggiamento di sottomissione alla volontà dell’adulto aggressore. Di conseguenza, questo meccanismo si declina nella tendenza

«a indovinarne tutti i desideri, a obbedirgli ciecamente, a identificarsi completamente in lui»
(Ferenczi, S., 1932).

Conclusioni sul tema del trauma infantile legato alla genitorialità

In conclusione, data la prossimità di pensiero tra Ferenczi e Winnicott, possiamo notare come entrambi considerino il concetto di identificazione del bambino con l’adulto come il presupposto fondamentale nel processo di sviluppo psichico dell’individuo e nel suo ingresso nella realtà.

Tale ingresso, come visto, assume però forme patologiche quando si verifica un eccesso o un difetto di pulsioni nei genitori o quando da parte di questi prevale la proiezione piuttosto che l’introiezione.

L’ambiente circostante, in questo modo, non si rivela adeguato a consentire al bambino di realizzare la ‘sua originale linea di vita’. La sensazione di onnipotenza, necessaria a un sano sviluppo del bambino e che permette di percepire la vita come degna di essere vissuta, va in frantumi; il bambino si limita a sopravvivere, correndo il forte rischio di sviluppare disturbi psicopatologici.

Dott.ssa Elena Tsoutsis

Se ti ha incuriosito l’argomento Psicologia Dinamica ti suggerisco di leggere il mio ultimo articolo sull’ “amicizia in psicologia

BIBLIOGRAFIA:

  1. Borgogno, F., Ferenczi e Winnicott: “alla ricerca di un ‘nesso perduto’ , 2006
  2. Buonanno, A., Intorno al trauma, articolo, 2017
  3. Concato – Innocenti, Manuale di Psicologia Dinamica, Edizioni Psiconline, 2010
  4. Crocetti, G., Zarri, A., Gli dei della notte sulle sorgenti della vita, il trauma precoce dalla coppiamadre al bambino, Pendragon, 2008
  5. Ferenczi, S., Opere, 1927-1933, Vol. IV (1974), Raffaello Cortina Editore, 2002
  6. Laplanche, J., Pontalis, J.B., Enciclopedia della psicoanalisi, (1967), Laterza, 2006
  7. Winnicott, D. W., Sviluppo affettivo e ambiente, (1965), Armando Editore, 2013

About Elena Tsoutsis

Sono Elena Tsoutsis, nata nel febbraio del '96. In me un miscuglio di sangue greco e italiano.
Sono Danzaterapeuta, Psicologa Clinica e Dinamica, laureata all'Università di Firenze e scritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Emilia-Romagna.
Fin da piccola, grazie agli incoraggiamenti di mia madre, coltivo interessi artistici, quali la pittura, la musica, il teatro, la danza e studi letterari; tutti ancora oggi vivi in me. Per molti anni è stata però la danza classica a essere la mia passione principale, che mi ha permesso anche di avvicinarmi allo studio del pianoforte, che più avanti ho lasciato per studiare basso elettrico. Anche la mia fascinazione per la lettura non è mai svanita e tuttora mi spinge a comprare più libri di quanto la mia casa possa contenerne.
Questa passione è poi sfociata in un intenso amore per lo studio, di cui trovo grande esempio in mio padre. Le mie preferenze si indirizzano sempre più verso la saggistica inerente alla Psicologia e alla Psicoanalisi. È cosi che mi sono imbattuta nei libri di C. G. Jung: per me una folgorazione; il primo autore a regalarmi una visione privilegiata sulla realtà. Ed è per questo che oggi frequento la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Analitica Post Universitaria AION di Bologna.
Appassionata degli abissi psichici, provo molta fascinazione anche per il cinema d'essai.
Non essendomi mai trovata troppo a mio agio in questa società 'inquinata' (sia in senso letterale che metaforico) - che mi vorrebbe meno malinconica, meno introversa e meno sensibile, ma al contrario più allegra, leggera e conformata - ho sempre cercato nella scrittura un'opportunità per respirare e affacciarmi sul mondo; opportunità che ora trova una nuova via d'espressione anche in questo grande gruppo che è Gnōthi Seautón!
E per questo importante riconoscimento di me e delle mie caratteristiche è stata preziosa la vicinanza di mio fratello, per me così profondamente essenziale.

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