Ritratti seriali: Antonio Boggia – Il mostro della “Stretta” Bagnera

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Antonio Boggia fu un serial killer organizzato edonista per profitto conosciuto come “mostro di Milano” o “mostro della stretta Bagnera”. Vissuto nella lontana Italia risorgimentale, salì agli onori della cronaca in quanto primo serial killer italiano (cronologicamente parlando) e ultimo detentore di condanna a morte eseguita a Milano.

Modi cheti, bonario meneghino privo d’eccessi, furono caratteristiche attribuite ad un seriale che fece incetta d’arti e smembramenti: alla foca luce d’una candela, asce e scarabocchi dettero fama e orrore all’umida cantina della “stretta” via Bagnera.

Antonio Boggia

Il Mostro di stretta Bagnera: Genesi d’un delinquente risorgimentale

Nacque a Urio (Como), non lontano dalla Svizzera il 23-12-1799. Boggia fu il primo vero e proprio serial killer italiano, precedente addirittura all’Unità d’Italia. Antico operaio del crimine, delinquente senza età perso nei secoli addietro, è protagonista d’un racconto dell’orrore che di vero ebbe tutto. Tipico malversante avvezzo alla truffa, nascose con arte e mestiere l’attitudine al crimine sfuggendo a sospiri e sospetti.  

Antica cartografia dell’Italia preunitaria

Attratto dal tripudio d’estasi del guadagno facile, ebbe i primi problemi con la giustizia all’età di 25 anni, nel 1824: mosse dalla truffa, cambiali non onorate che lo portarono dal comasco al Regno di Sardegna, in Piemonte. Se l’acque da mosse si fecero burrasca, fu perché coinvolto in una rissa e processato per tentato omicidio. Una fortuita rivolta carceraria offrì l’agognata via di fuga al Boggia che se la svignò nel Lombardo-Veneto, a Milano. Là comiciò una nuova vita, come niente fosse successo.

Palazzo Cusani

Il meneghino insospettabile

Pregiudicato ed evaso, fu assunto come fochista presso Palazzo Cusani, sede del comando militare austriaco: abitò inoltre in via Gesù a un soffio dal Teatro Manzoni e via Montenapoleone.

Una volta conosciuta Daria, ne fece sua moglie nel 1931; in sua compagnia, trascolcò in via Nerino 2, presso un vivace stabile di proprietà di Ester Maria Perrocchio.

La “stretta” Bagnera

Via Nerino: una traversa di via Torino da cui parte la “stretta Bagnera”, la via più stretta di Milano. Centocinquantadue passi, un vicolo, scarno passaggio incastrato nella zona delle “cinque vie”. Alla stretta, Boggia possedette una cantina, laboratorio dell’edile e santuario dell’assassino.

Immagine attuale di Via Bagnera, Milano

Un Padre Nostro, l’ascia e un bicchierino

Boggia, il capomastro che tutto potè apparire meno che un violento serial killer. Certo, al sciur Togn piaceva andare all’osteria a bere vino e qualche grappino, qualche volta tornava a casa un po’ alticcio. Fu addirittura volontario alla chiesa di San Giorgio, un chierichetto un po’ maturo. Alto, i capelli bianchi, gli occhi vispi, di solito calmo, con fare affabile, a meno che non avesse bevuto un bicchiere di troppo, Boggia aveva uno speciale fiuto nell’individuare le vittime, che dovevano essere ben fornite di soldi per meritare le sue attenzioni.

Chiesa di San Giorgio fotografata da via Torino

Antonio Boggia Arraffone e assassino, ecco il Mostro della Stretta Bagnera

Angelo Serafino Ribbone conobbe assai bene il Boggia. Ne fu sottoposto presso la caserma di via Cusani come addetto al caricamento delle stufe. Un alto manovale dal naso prominente che riuscì a mettere da parte la bella somma di 1.400 svanziche (moneta in oro usata nel Regno di Napoli e di Sardegna in epoca risorgimentale, una svanzica varrebbe ad oggi circa 50 euro) indispensabili per l’approdo alla vita coniugale, di cui aveva malauguratamente messo a parte il suo ex principale.

Un kreuzer o svanzica

Progetto e gruzzolo che piacquero assai all’Antonio: nell’aprile 1849, attirò il giovane Ribbone nella cantina della stretta. Un colpo d’ascia e la dissezione del corpo in tre parti, videro sfumare denaro e matrimonio. E la cantina s’arricchì d’una prima fossa.

Una piccola associazione a delinquere

Il denaro non cadde, ahimè, dal cielo: custodito nelle saccocce della vecchia zia del Ribbone, richiese sforzi e stratagemmi. Finissima mente asservita all’imbroglio, reperì una serie di non si sa quanto consapevoli complici che gli servivano da calligrafi (Borghi) o da testimoni negli studi notarili per certificare documenti falsi (Besozzi e Lisska). Notai distratti, giuristi d’arrembaggio, un po’ di scarabocchi e una falsa procura trasferì di diritto il denaro nelle mani dell’ometto.

Sotto a chi tocca

Giuseppe Marchesotti s’occupò d’aste e ricchi affari. Circa un anno dopo, il mediatore commerciale mise in piedi un accordo col furbo Antonio del valore di 4.000 svanziche: al sicuro nel cappotto, incontrò il contraente nella cantina di via Bagnera. Ormai pratico del reato d’omicidio, l’assassino trovò di suo gradimento applicare la procedura in modo identico: colpo in testa, smembramento e sepoltura. Quanto mi ricorda Leonarda Cianciulli! Che seghe e mannaie fossero un piacere mal riposto? Ciance a parte, anche del Marchesotti si persero le tracce.

Il tentativo andato a vuoto

Che il golosone fosse ormai un criminale, di dubbi non ve n’è. Proseguì per la sua strada, cercando vittime e riccastri, pronti a far cadere a colpi di mannaia. Fu il turno del notaio e conoscente, Dott. Giovanni Comi, a rischiare di morire ammazzato a colpi d’ascia: fu il cappello a tese larghe, un fedora bello grosso, a confondere l’assassino che lo prese per la testa. Il primo colpo andò a segno, il secondo tagliò il cappello, salvando il povero notaio da una tomba nel cemento. Una lassa giustizia austriaca lo condannò a solo tre mesi di manicomio presso la Pia Casa Sanevra, lasciando una macchia bella grossa nel casellario giudiziale del siur Togn.   

Gli ultimi ospiti della cantina

Nel 1951 toccò a Pietro Meazza: il ferramenta fu anch’esso ucciso, smembrato e tumulato nelle umide pareti della cantina della stretta Bagnera. Un laboratorio che divenne catacomba, fitta di miasmi, ossa e arti. Una volta cementato anche il Meazza, al Boggia pervenne una falsa procura che lo autorizzò a vendere due immobili del defunto: una cantina di Via Bagnera e la stessa bottega dell’artigiano. Sempre amici e conniventi, ben oliati, fornirono supporto e firme false.

L’omicidio della proprietaria

Ultimo colpo del maestro d’armi e truffe, fu l’omicidio di Ester Maria Perrocchio, stravagante proprietaria del palazzo di via Santa Marta 10. Donna sola di 76 anni, preferì la compagnia di gatti e galline al posto di quella del figlio Giovanni Maurier, amministratore dello stabile.

L’ngresso del palazzo di via Nerino, residenza dei Boggia

Orchestrò tutto alla perfezione il Boggia: prima l’omicidio, poi con firme contraffatte documenti e timbri vari riuscì a divenire amministratore dello stabile. Al figlio, la madre mancò tanto che partì la denuncia: i precedenti del Boggia ne fecero un sospettato e grazie alla solerzia del giudice Cesare Crivelli, la cantina della stretta fu sventrata. Là emersero documenti e falsificazioni relative a persone ormai scomparse: quella del Ribbone, che lo autorizzava a prelevare i soldi dalla zia e del Meazza di vendere la bottega. Assieme al materiale riguardante Ester Perrocchio saltò fuori il suo cadavere. Ma la forza pubblica andò oltre e nascosti qua e là nel laboratorio emersero i resti di ben tre cadaveri. La Perrocchio fu murata in una nicchia, Ribbone, Meazza e Marchesotti sotto al pavimento.

Arresto e processo

Molte accuse, poche scuse. Preso da una morsa troppo “stretta” l’imputato confessò fingendosi pazzo. A poco valse l’insipida interpretazione e il mostro di Milano fu mandato a morte per impiccagione.

Documenti relativi al processo di Antonio Boggia

Condotto non lontano da Porta Vigentina, la sentenza fu resa esecutiva in data 08/04/1862: fu l’ultima condanna a morte d’un civile, decaduta con il Codice Zanardelli del 1889. Appeso penzoloni davanti a un pubblico esultante, il Boggia fu sdraiato e infine decapitato. Occhi vacui di rosso incisi, parvero fuoco su pelle diafana: il cranio finì al Gabinetto anatomico del Maggiore di Milano e infine tra le mani del Lombroso.

Il cranio del Boggia vergato con gli “appunti” di Cesare Lombroso

Divenuto simbolo d’orrore, buono per racconti senza sonno, testa mozza e armi del siur Togn finirono in musei e fiere varie pronti da mostrare al pubblico curioso.

Due immagini della mannaia del serial killer

Considerazioni criminologiche su Antonio Boggia, il Mostro della Stretta Bagnera

Serial killer edonista per profitto d’evo ormai trascorso, il Boggia è criminale assai moderno. Scaltro truffatore, attratto dal denaro seppe muoversi e colpire con precisione e determinazione. Seriale organizzato, presenta una vittimologia da manuale: studiò la vittima, scelta tra le conoscenze e in prossimità della abitazione, accertandosi di ricchiezze e possedimenti. Persone comuni e poco in vista, non avvezze a possedere grandi cifre, caddero in raggiri dal sapore di tagliole. Scelta la vittima, allestito l’imbroglio, predilesse una necropoli prossima alla sua abitazione ove occultare salme e prove: sepolcro d’una personalità velata, la cantina della stretta detenne resti, spoglie di misfatti ormai compiuti. Antonio Boggia fu un organizzato da manuale.

Una fine mente criminale in grado d’imbastire una piccola rete malversante, forse inconsapevole, di collaboratori a libro paga: notai, calligrafi e scribacchini vari. Un vero talento del crimine.

Parve talmente lontano dalle azioni compiute che il giudice, a processo, scrisse:

«Di modi calmi, con un’esteriore quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze.»

L’estro Antonio Boggia, il Mostro della Stretta Bagnera

Fingendosi pazzo, confessò tutto. Definì la ricerca del crimine una sorta di estasi creativa che chiamò “estro”. Attitudine, una predilezione artistica che spinse un uomo dalle moderate consuetudini a generare un artefatto di guadagno e fiducia, menzogne e morte. L’estro, ispirazione che innalza e uccide.

Avido, s’aggira silente tra vicoli, vie e angusti pertugi. Sparisce nell’ombra che cala in cantina e inciampa tra ossa, scarti e una lama mortale: tintinna la tasca, straborda dell’oro di gente ormai morta e nasconsta nel buio. Nulla gli sfugge, neppur la galera, perchè lui era il Boggia, il mostro di stretta Bagnera.

Dott. Mattia Curti, criminologo

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